A cinque anni dalla sua scomparsa, mi preme ricordare a chi non l'avesse conosciuto e visto all'opera, e in primis ai miei allievi, che si trattava di un Maestro, nel vero e genuino senso del termine.
Anzitutto, dunque, era un'inesauribile fonte di conoscenza e sapere, e partecipare ad una sua lezione costituiva un'esperienza sempre intensa, direi straordinaria, sebbene non fosse troppo incline alla spettacolarizzazione e ripetesse nella stragrande maggioranza dei casi le stesse tecniche, tutte rigorosamente di base.
Teorizzava e attuava nei suoi insegnamenti l'idea che l'aikido si componesse di alcune costruzioni fondamentali, e che la pratica quotidiana dovesse costituire approfondimento e studio di quelle costruzioni fondamentali, nelle quali i principi aikidoistici trovavano vita e applicazione, e che occorresse evitare di trasformarla in una sorta di rincorsa all'effetto scenico, allo stupore dell'osservatore.
Ikkyo, nikkyo, sankyo, yonkyo, preferibilmente in suwariwaza, con le quali pressochè inevitabilmente iniziavano le sessioni d'esame, o altre tecniche che occorreva bene padroneggiare, e nelle quali vi era tutto il necessario.
"Fate cose semplici", "l'aikido è semplice", gli ho spesso sentito ripetere.
Le lezioni dunque erano prevalentemente questo, una splendida immersione nelle basi della disciplina, tuttavia orientate all'approfondimento di singoli aspetti, al quale erano strumentali variazioni, cambi di prospettiva ed esecuzione sempre nuovi ed eccezionalmente stimolanti.
Questo era, direi, il suo insegnamento.
Pochi kokyunage, pochi capitomboli. Quando voleva ridimensionare l'effetto "circense", ghignava e faceva trasferire tutti fuori al tatami.
Cadete adesso, diceva.
Uke e tori non sono ballerini, non devono danzare, nè sono lì per realizzare una coreografia con finalità estetiche e artistiche. Piegate le ginocchia, tenete il contatto, siate attivi e "vivi".
Questo era importante per Fujimoto che venisse compreso.
Un Maestro, poi, non è soltanto uno straordinario esecutore, ma è anche e soprattutto un grande veicolo di trasmissione del sapere.
In questo, a mio giudizio, era letteralmente fenomenale.
L'ho detto altre volte. L'aikido, che è una disciplina niente affatto semplice (e Fujimoto sensei ne era assolutamente convinto), io l'ho capito soltanto per il suo tramite, perchè prima di incontrarlo navigavo nella più assoluta inconsapevolezza.
Cosa fosse l'aikido e quale fosse il senso di quelle tecniche che eseguivo, mi è stato chiaro soltanto ascoltando quelle spiegazioni, frequentando quelle lezioni, immergendomi in quello studio.
Gliene sarò sempre e infinitamente grato.
Un Maestro, infine, è un motivatore; un, diciamo così, creatore di entusiasmo.
Quanto riuscisse in questo, potete saperlo dagli occhi di chi ha fatto parte, chi più chi meno, della meravigliosa avventura didattica ed umana di questo gigante dell'aikido, italiano e mondiale, e dal dolore e dalla costernazione che la sua scomparsa ha lasciato.
La cosa più bella e importante, però, è che quell'entusiasmo per la disciplina gli siano sopravvissute.
Avrei voluto che l'aveste conosciuto.
Un pensiero triste, perchè non c'è più, accompagnato ad una immensa gratitudine.
Questo è per me il ricordo del Maestro.