Ho letto qualche libro di aikido, talvolta, e non ho mai rinvenuto, nella spiegazione delle tecniche, il benchè minimo accenno al tenere le anche basse, o le ginocchia flesse, o a svolgere movimenti ampi e aperti.
Le spiegazioni sono generalmente rivolte ad aspetti legati alla dinamica delle mani e dei polsi, la posizione dei piedi, o contengono suggerimenti su dove poter colpire o, spesso, sull'atteggiamento mentale da tenere per conseguire importanti risultanti nel possibile combattimento o addirittura nella vita.
Praticare sotto la guida del maestro Fujimoto comportava invece un continuo richiamo all'atteggiamento del corpo, e si accompagnava generalmente a pertinenti riflessioni su cosa sia il movimento aikidoistico, e su quanto sia importante caratterizzare l'allenamento di una certa "fisicità", o se preferiamo un effettivo dinamismo.
Il Maestro, mi è già capitato di dirlo, ha praticato e illustrato sino all'ultimo, anche quando la malattia lo aveva oramai vinto, con quell'attenzione alla muscolarità.
Muscolarità, naturalmente, mai intesa alla stregua di spendita e accumulo di forza bruta, ma al contrario come sano irrobustimento, ed effettivo impiego tuttavia delle fasce muscolari e della energia che esse possono determinare.
La muscolarità, ad esempio, richiesta nel tenere una presa di tori, nella quale evitare che si apra uno spazio nel palmo della mano di chi tiene, e che ci obbliga a piegare le ginocchia, adeguare il corpo alla condizione di schiacciamento cui ci costringe la azione del compagni di allenamento.
Prima di iniziare il mio percorso con questo straordinario Shihan, ero anche io, che pure praticavo da tanti anni, completamente a digiuno di nozioni di questo genere.
Ancora oggi, mi capita, sia pure piuttosto raramente, di avere visite di qualche praticante proveniente da altri dojo, e che magari è incuriosito dalle mie lezioni e dalle riflessioni che derivano dalla mia esperienza con il Maestro, ed al quale propongo appunto quel modo di fare aikido.
La lezione è allora, generalmente, tutta un "abbassa le anche, tieni la presa, avvicinati a lui, chiudi le ascelle, adotta posizioni più lunghe", e così via.
La mia sensazione è spesso che rifiutino questo approccio, che certamente gli appare faticoso appunto muscolarmente, e difatti di solito non tornano.
Vanno all'altra palestra, nella quale si fa in maniera differente.
Quando parlo di aikido dinamico, io non intendo evidentemente una pratica nella quale si tiri in maniera forsennata, magari a ritmo altissimo, ma rimanendo pressochè fermi sul posto, o rigidi come pertiche, o al più collezionando cadute su cadute, senza la benchè minima precisione, tecnica, corretta distanza e postura.
Fare una tecnica in suwariwaza senza fare un passo, ma magari impiegando grande forza nelle braccia.
Dinamismo vuol dire anzitutto muoversi.
Per muoversi durante la pratica, ad esempio quando siamo uke, vuo dire seguire il movimento cui ci costringe tori, reagire alle sue sollecitazioni, creare delle controspinte, accettare gli sbilanciamenti che si dovrebbero creare.
Vuol dire, in sostanza, coprire metri, o tatami se preferiamo, sia che riceviamo la tecnica che quando la eseguiamo.
Muoversi marzialmente, o se vogliamo aikidoisticamente, richiede, data la matrice marziale, anche una postura bassa e lunga, o meglio alternare posture basse ad altre alte, magari più e più volte durante l'esecuzione di una stessa tecnica.
E' faticoso muscolarmente, e costringe a pensare a cosa si sta facendo, e a prestare grande attenzione alla precisione.
Ma è così che questa pratica ha un senso.
E' così che è possibile eseguire tecniche credibili.
Nell'aikido non c'è verifica della efficacia.
Se un tennista invece non piega le ginocchia, o non si sposta sul campo, certamente sbaglia il colpo, o non raggiungerà nemmeno la palla.
Provate, per avere la conferma.
Pensiamo anche a questo, quando pratichiamo, per avere un riscontro.
L'illuminazione, forse, arriverà.
Nel frattempo, sarebbe il caso di praticare degnamente.
Buon allenamento.