Per quanto abbia iniziato a praticare oramai più di un ventennio fa, posso forse dire di avere davvero iniziato a studiare l'aikido soltanto da cinque o sei anni, quando ho iniziato a seguire più assiduamente il Maestro Fujimoto.
Credo si tratti di un caso più unico che raro, una di quelle eccezionali combinazioni di genialità nell'esecuzione e impressionante capacità didattica, che si verificano immagino poche volte ogni secolo.
Genialità nell'esecuzione, perchè il suo aikido è di impressionante bellezza, è perfettamente sferico, dinamico, mi sembra di incredibile precisione in ogni momento della tecnica, dallo spostamento alla postura, dalla distanza alla scelta di tempo.
Ma questo non basterebbe ad entusiasmarmi tanto, perchè di altri eccezionali esecutori se ne possono trovare anche altri tra i grandi shihan giapponesi.
Ciò che trovo assolutamente insolito, come dicevo, è che un fuoriclasse nell'arte riesca anche a trasmettere quel sapere. A spiegare in altre parole come riesce a fare quelle cose. Quali accorgimenti lo studente deve mettere in pratica perchè ci si possa almeno avvicinare a quella maestria.
La quantità di informazioni che ho potuto apprendere sulla disciplina in questi anni in cui ho frequentato gli stages del Maestro, la inesauribile varietà di modalità di esecuzioni che mi trovo a poter proporre ai miei studenti e che allo stesso tempo mi permette di non impigrirmi, di cimentarmi con sempre nuovo entusiasmo e passione, costituiscono il risultato tangibile di questa fase della mia vita aikidoistica, e mi ripaga di ogni sforzo, personale od economico che sia.
Posso dire, consapevolmente, che solo in questa fase sto comprendendo moltissimi degli aspetti della disciplina e della pratica che in tanti anni precedenti non avevo mai davvero compreso e capito, il mio aikido è cambiato profondamente, immagino in meglio, nell'arco di pochi anni, e la mia sensazione è di essere in continua evoluzione.
Ho approndito enormemente alcuni aspetti altrimenti e generalmente piuttosto trascurati, come il fondamentale ruolo di uke, e sono riuscito finalmente a crescere apprezzabilmente e progredire nell'utlizzo e nello studio delle tecniche a mani nude, nel lavoro in ginocchio, nelle armi.
Invito sinceramente, con tutto il cuore, a frequentare il più possibile questo straordinario didatta e magnifico maestro, prima che sia troppo tardi.
Shihan, come è noto, vuol dire bussola, colui che va seguito perchè indica la via giusta.
Mai, davvero mai, credo che titolo sia stato più appropriato come per Fujimoto yoji, VIII dan, vice direttore dell'Aikikai d'Italia.
L'Aikikai d'Italia
L'Aikido a Foggia
L'Aikido a Foggia
domenica 27 febbraio 2011
martedì 22 febbraio 2011
ichi go ichi e
E' tradotto, generalmente, con "una volta, un incontro", ma potrebbe rendersi efficacemente con "ogni volta, come l'ultima volta".
E' un concetto proprio dello zen, elaborato in particolare nella disciplina della cerimonia del tè, dove esprime la necessità a che i commensali comprendano e vivano, pure nella ripetitività dei gesti codificati, l'unicità di ogni incontro.
In ambito marziale, e nello studio dell'aikido in particolare, esprime soprattutto un precetto didattico.
Il senso che si vuole esprimere con questa frase è che, se si vuole davvero progredire nella pratica, raggiungere (o almeno tentare di raggiungere) l'eccellenza, è indispensabile che in ogni momento dell'allenamento si cerchi di vincere il demone della noia, dell'appagamento, della definitiva soddisfazione di sè.
In altre parole, per quanto l'esercizio proposto appaia identico a quelli già svolti e uguale a quelli che verranno poposti nell'allenamento successivo, è indispensabile che si cerchi sempre in esso ciò che non va, che può essere migliorato.
Che si presti, in sostanza, a ciò che si fa, la stessa attenzione e dedizione che metteremmo nel compiere quel gesto ove avessimo la consapevolezza che quella possa essere l'ultima (o l'unica) volta in cui potremo farlo.
Non dovremmo, cioè, mai dire "ah, si, questo lo so fare", perchè sempre e comunque è possibile e doveroso cercare di migliorarsi, aggiungere un tassello, correggere qualcosa.
Questo atteggiamento dovrebbe accompagnare il praticante (anche ove fosse un maestro nella disciplina) nel compimento di qualsiasi gesto, dal saluto iniziale sino alla più complessa delle tecniche.
Non è affatto raro sentire grandissimi Maestri, magari alla soglia degli ottant'anni, dire che solo allora hanno iniziato a comprendere davvero l'aikido.
Non si tratta, credo, di un vezzo di falsa modestia, e non penso che cerchino il compiacimento che deriva dallo stupore del deferente ascoltatore o lettore.
Credo si tratti invece di considerazioni sincere, e allo stesso tempo di un immenso lascito a chi è destinato a venire dopo di loro.
Si potrebbe riassumere con ... ichi go ichi e.
E' un concetto proprio dello zen, elaborato in particolare nella disciplina della cerimonia del tè, dove esprime la necessità a che i commensali comprendano e vivano, pure nella ripetitività dei gesti codificati, l'unicità di ogni incontro.
In ambito marziale, e nello studio dell'aikido in particolare, esprime soprattutto un precetto didattico.
Il senso che si vuole esprimere con questa frase è che, se si vuole davvero progredire nella pratica, raggiungere (o almeno tentare di raggiungere) l'eccellenza, è indispensabile che in ogni momento dell'allenamento si cerchi di vincere il demone della noia, dell'appagamento, della definitiva soddisfazione di sè.
In altre parole, per quanto l'esercizio proposto appaia identico a quelli già svolti e uguale a quelli che verranno poposti nell'allenamento successivo, è indispensabile che si cerchi sempre in esso ciò che non va, che può essere migliorato.
Che si presti, in sostanza, a ciò che si fa, la stessa attenzione e dedizione che metteremmo nel compiere quel gesto ove avessimo la consapevolezza che quella possa essere l'ultima (o l'unica) volta in cui potremo farlo.
Non dovremmo, cioè, mai dire "ah, si, questo lo so fare", perchè sempre e comunque è possibile e doveroso cercare di migliorarsi, aggiungere un tassello, correggere qualcosa.
Questo atteggiamento dovrebbe accompagnare il praticante (anche ove fosse un maestro nella disciplina) nel compimento di qualsiasi gesto, dal saluto iniziale sino alla più complessa delle tecniche.
Non è affatto raro sentire grandissimi Maestri, magari alla soglia degli ottant'anni, dire che solo allora hanno iniziato a comprendere davvero l'aikido.
Non si tratta, credo, di un vezzo di falsa modestia, e non penso che cerchino il compiacimento che deriva dallo stupore del deferente ascoltatore o lettore.
Credo si tratti invece di considerazioni sincere, e allo stesso tempo di un immenso lascito a chi è destinato a venire dopo di loro.
Si potrebbe riassumere con ... ichi go ichi e.
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