Come ogni anno, il fatidico 20 febbraio, mi trovo a ricordare la scomparsa del Maestro.
Ho già in passato, in occasione dell'anniversario e non solo, cercato di raccontare quale dolore e smarrimento ci abbia lasciato quella notizia e prima di allora, forse ancora più fittamente, quella della sua malattia.
Parlo di dolore e smarrimento a ragion veduta, e non con intenti retorici, perchè quello fu, e così è ancora.
Non penso, francamente, che il tempo abbia lenito più di tanto quella ferita, e sono convinto, sulla base dell'osservazione di me stesso, e di ciò che avverto in chi lo ha amato e ammirato, che quella condizione per così dire di lutto persista piuttosto immutata e integra.
Ciò non ha naturalmente scalfito la voglia di impegnarsi nello studio, migliorarsi, progredire e fare progredire aikidoisticamente chi pratica sotto la nostra guida, anzi è accaduto forse il contrario.
Personalmente avverto, quale istruttore e direttore di un dojo, una grande responsabilità che tuttavia non sento e vivo come un peso schiacciante ed opprimente, e questo per una ragione semplice e chiarissima.
Quell'uomo mi ha trasmesso un sapere gigantesco, una didattica rigorosa e tuttavia gioiosa, basi tecniche straordinariamente solide e convincenti, un esempio magnifico e sicuro.
Era al contempo un Maestro inarrivabile eppure chiarissimo, un didatta severo e al contempo emozionante e creativo, un giudice da temere epperò umanissimo e coinvolgente.
Come accade rarissimamente, in una sola persona si sono miracolosamente fusi pressochè ognuno dei caratteri che fanno grande e irripetibile qualcuno, eppure è accaduto, e noi italiani abbiamo avuto la straordinaria fortuna di averlo con noi per un intenso ed eccezionale quarantennio.
Rimane e deve rimanere tantissimo della sua azione, del sapere che ha radicato, dell'entusiasmo che ha generato in chi, direi intelligentemente, ha capito con quale colosso avesse la fortuna di praticare e apprendere.
Qualcun altro quella intelligenza non l'ha avuta, e sono sinceramente dispiaciuto per chi non ha compreso.
Per quanto mi riguarda, sono felice e appagato dell'aikido che pratico, e non sento il benchè minimo bisogno di integrarlo o "arricchirlo" contaminandolo con discipline o suggestioni che servano a riempire un vuoto tecnico che non avverto affatto.
Ogni giorno è nuovo e irripetibile grazie alle basi che ho ricevuto dal Maestro e il cui esempio è sempre davanti a me, come un gioioso e costante "monito" a fare le cose per bene, e a dare un senso a ciò che facciamo e alla nostra presenza ovunque siamo e qualsiasi cosa ci dedichiamo.
Pare che funzioni, il metodo Fujimoto.
Oggi, che è un giorno un pò triste, faremo a Bari un bell'allenamento in suo ricordo.
Dedicategli un pensiero, se volete.
A presto.