Ricordo a tutti che domenica 8 maggio, sotto la direzione di Roberto Foglietta, VI dan dell'aikikai d'Italia, responsabile del dojo Renbukai di Pesaro e Rimini, e consigliere dell'Aikikai d'Italia, si svolgerà un seminario didattico.
E' un insegnante che ha quasi trentacinque anni di pratica alle spalle (mi risulta che abbia iniziato a praticare nel 1977), eppure in lui si coglie una grande voglia di crescere ancora, imparare nuovi modi di fare, non accontentarsi.
Si tratta di uno stretto collaboratore del Maestro Fujimoto, del quale tiene a dire di avergli fatto da uke per decenni.
Lo dice, da un lato, perchè chiunque abbia avuto l'esperienza di trovarsi a svolgere questo compito, anche sporadicamente come il sottoscritto, sa quanto sia difficile riuscire a "soddisfare" appieno le aspettative del Maestro, che sollecita continuamente uke con cambi di direzione, spinte e controspinte, spostamenti inaspettati, e dunque è comprensibile che i suoi uke ne siano fieri.
Dall'altro lato tiene a precisarlo perchè, come dice spesso il Maestro, nella didattica aikidoistica uke è addirittura più importante di tori, nel senso che egli deve possedere una superiore conoscenza della tecnica e dei principi di base della disciplina (non è un caso, d'altro canto, che nella didattica del kenjitsu e del kobudo in genere ad attaccare è il maestro, e dunque il più esperto).
Pertanto un buon uke è, per continuare con il pensiero del Maestro, anche e certamente un buon tori, e chi ha la fortuna e l'abilità di seguire come uke un grande Maestro ha la possibilità di comprendere al meglio e più profondamente il suo messaggio.
Dunque, per chi voglia approfondire lo studio dell'aikido così come trasmesso e insegnato dal maestro Fujimoto, e più in generale chiunque voglia fare un esperienza di pratica in qualche misura "superiore", credo che debba accorrere ad eventi come questo.
Foglietta certamente ha tanto da insegnare.
Dopodichè, ognuno è giusto che segua la propria strada.
Abbiamo corporature, attitudini, e direi anche sensibilità estetiche differenti, ed è inevitabile, e a mio giudizio bellissimo, che ciascuno esprima un proprio aikido.
Perchè però questo possa accadere in modo virtuoso, tuttavia, è indispensabile, secondo me, cercare di praticare oltre il proprio dojo e la propria stretta realtà domestica.
E' chiaro che è condizione necessaria ma non sufficiente, per diventare accettabilmente bravi, seguire i raduni, perchè è evidente che è altrettanto importante lavorare bene nel quotidiano della propria palestra.
Tuttavia, penso che occorra fare entrambe le cose, e questo lo dico soprattutto a che insegna, o aspira a farlo, e dunque ha o avrà una responsabilità maggiore e più profonda che deriva dall'essere in grado di trasmettere il più ampio e serio sapere possibile.
Comunque, l'8 maggio siamo al Giannone, in via Sbano, dalle 10 in poi.
Alimentatevi bene, l'insegnante è di quelli con i quali non ti puoi risparmiare, e venite a praticare con la certezza che sarà, a qualunque "stile" si appartenga, una esperienza aikidosisticamente intensa e importante.
Vi aspetto.
L'Aikikai d'Italia
L'Aikido a Foggia
L'Aikido a Foggia
sabato 16 aprile 2011
domenica 3 aprile 2011
Un argomento impegnativo: Il Ki
"Non c'è Aikido senza Ki"....
E' una frase attribuita al Fondatore, e dunque, per così dire, è condivisibile a priori.
D'altro canto, il kanji di "Ki" compone la parola che designa il nome della disciplina, e dunque...
Su cosa sia, però, l'energia alla quale rimanda il termine "Ki", difficilmente potrebbe conservarsi questa unanimità di partenza.
Dirò la mia, e nulla più.
A mio giudizio, il ki non è altro che la capacità di valorizzare al meglio, e interamente, le proprie potenzialità, evitando di rimanere ingabbiati nei "fattori di disturbo", interni ed esterni, che sono in agguato in ogni momento del nostro agire.
In questo senso, allora, quella di coltivare il ki è un'esigenza per chiunque, in ogni campo si cimenti, e qualunque cosa faccia (l'atleta di fronte alla gara, il pianista all'inizio di un concerto, l'avvocato prima di un'arringa, e così via).
In ambito marziale, in particolare, la ricerca del Ki è il tentativo di applicare, appunto al meglio, ciò che si è studiato e per il quale ci si è preparati.
E' esperienza assai frequente per il praticante quella di trovarsi aggredito o minacciato da qualcuno e di essere paralizzati dalla paura, senza essere in grado di mettere in pratica, o riuscendo a farlo in modo insoddisfacente, le tecniche alle quali ci si è dedicati per tanto tempo sul tatami.
Questo accade, evidentemente, proprio perchè le tecniche di combattimento richiedono, per potere essere messe in pratica, una grande determinazione e presuppongono coraggio e audacia.
Non è affatto semplice, dal punto di vista mentale, rimanere calmi e imperturbabili (almeno nel senso di essere accettabilmente lucidi) mentre qualcuno ci fronteggia, magari armato di coltello.
Normalmente, difatti, in una situazione del genere, prima ancora che l'aggressione abbia inizio, l'aggredito già si immagina ferito e colpito dall'arma, e dunque non è in grado, spesso, di mantenere la calma necessaria a compiere una evasione dall'attacco, magari scivolando a lato dell'avversario attraverso uno spostamento di pochi centimetri, creando la condizione di vantaggio e mettendo in atto una tecnica efficace a disarmare l'aggressore.
Era d'altro canto lo stesso problema che affliggeva il samurai, ed è per questo che gli appartenenti a quella casta guerriera si dedicarono in modo intenso alla ricerca religiosa attraverso la pratica zen, come strumento di "preparazione alla eventualità della morte".
Solo accettando serenamente questa eventualità, difatti, è davvero possibile applicare in tutta la propria efficacia le tecniche marziali.
Non è detto che questo accada.
La ricerca aikidoistica, come quella religiosa d'altro canto, non è affatto scontato che riesca ad approdare a traguardi così alti e difficili.
Ciò non toglie nulla, a mio giudizio, alla bellezza della disciplina, e alle soddisfazioni che da essa possono comunque trarsi. E' evidente.
Questo non è, però, a mio giudizio, un buon motivo per rinunciare a priori a questa ambizione.
Una cosa è certa.
Non c'è bisogno di atteggiarsi a santoni e illuminati.
Ricordo bene una intervista di circa vent'anni fa rilasciata alla rivista dal maestro Fujimoto, nella quale, ad un certo punto, all'intervistatore che gli chiedeva di "parlare di Ki" il Maestro, dopo essersi schermito e tentato di cambiare discorso, rispose serafico e ironico "Vivo, dunque c'è ki", per poi esclamare, ridacchiando, "Forse quando io settant'anni parla di ki".
Ebbene, il suo ki, lo sta ampiamente dimostrando, è addirittura straripante.
Pratichiamo bene, dunque, seriamente, e forse, chissà, qualche chance in più di trovarlo, questo misterioso ki, l'avremo...
E' una frase attribuita al Fondatore, e dunque, per così dire, è condivisibile a priori.
D'altro canto, il kanji di "Ki" compone la parola che designa il nome della disciplina, e dunque...
Su cosa sia, però, l'energia alla quale rimanda il termine "Ki", difficilmente potrebbe conservarsi questa unanimità di partenza.
Dirò la mia, e nulla più.
A mio giudizio, il ki non è altro che la capacità di valorizzare al meglio, e interamente, le proprie potenzialità, evitando di rimanere ingabbiati nei "fattori di disturbo", interni ed esterni, che sono in agguato in ogni momento del nostro agire.
In questo senso, allora, quella di coltivare il ki è un'esigenza per chiunque, in ogni campo si cimenti, e qualunque cosa faccia (l'atleta di fronte alla gara, il pianista all'inizio di un concerto, l'avvocato prima di un'arringa, e così via).
In ambito marziale, in particolare, la ricerca del Ki è il tentativo di applicare, appunto al meglio, ciò che si è studiato e per il quale ci si è preparati.
E' esperienza assai frequente per il praticante quella di trovarsi aggredito o minacciato da qualcuno e di essere paralizzati dalla paura, senza essere in grado di mettere in pratica, o riuscendo a farlo in modo insoddisfacente, le tecniche alle quali ci si è dedicati per tanto tempo sul tatami.
Questo accade, evidentemente, proprio perchè le tecniche di combattimento richiedono, per potere essere messe in pratica, una grande determinazione e presuppongono coraggio e audacia.
Non è affatto semplice, dal punto di vista mentale, rimanere calmi e imperturbabili (almeno nel senso di essere accettabilmente lucidi) mentre qualcuno ci fronteggia, magari armato di coltello.
Normalmente, difatti, in una situazione del genere, prima ancora che l'aggressione abbia inizio, l'aggredito già si immagina ferito e colpito dall'arma, e dunque non è in grado, spesso, di mantenere la calma necessaria a compiere una evasione dall'attacco, magari scivolando a lato dell'avversario attraverso uno spostamento di pochi centimetri, creando la condizione di vantaggio e mettendo in atto una tecnica efficace a disarmare l'aggressore.
Era d'altro canto lo stesso problema che affliggeva il samurai, ed è per questo che gli appartenenti a quella casta guerriera si dedicarono in modo intenso alla ricerca religiosa attraverso la pratica zen, come strumento di "preparazione alla eventualità della morte".
Solo accettando serenamente questa eventualità, difatti, è davvero possibile applicare in tutta la propria efficacia le tecniche marziali.
Non è detto che questo accada.
La ricerca aikidoistica, come quella religiosa d'altro canto, non è affatto scontato che riesca ad approdare a traguardi così alti e difficili.
Ciò non toglie nulla, a mio giudizio, alla bellezza della disciplina, e alle soddisfazioni che da essa possono comunque trarsi. E' evidente.
Questo non è, però, a mio giudizio, un buon motivo per rinunciare a priori a questa ambizione.
Una cosa è certa.
Non c'è bisogno di atteggiarsi a santoni e illuminati.
Ricordo bene una intervista di circa vent'anni fa rilasciata alla rivista dal maestro Fujimoto, nella quale, ad un certo punto, all'intervistatore che gli chiedeva di "parlare di Ki" il Maestro, dopo essersi schermito e tentato di cambiare discorso, rispose serafico e ironico "Vivo, dunque c'è ki", per poi esclamare, ridacchiando, "Forse quando io settant'anni parla di ki".
Ebbene, il suo ki, lo sta ampiamente dimostrando, è addirittura straripante.
Pratichiamo bene, dunque, seriamente, e forse, chissà, qualche chance in più di trovarlo, questo misterioso ki, l'avremo...
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