domenica 15 dicembre 2013

Fisiologici conflitti.

Succede, prima o poi, che si verifichino forti tensioni all'interno di un dojo, e che tanto accada perchè l'insegnante, a torto o a ragione, sia avvertito dagli allievi più avanzati come insufficiente.
Iniziano, allora, a praticare difformemente dalle direttive ricevute.
Eseguono le tecniche ispirandosi ad altri insegnanti, riproducendone le movenze e gli atteggiamenti corporei, e magari risultano anche accattivanti verso gli altri praticanti, che magari iniziano ad imitarli, destabilizzando la lezione.
Analogamente, ho spesso sentito o letto della delusione di alcuni sensei di fronte a questo fenomeno, fonte di delusione, stupore, sofferenza, per l'atteggiamento "irriverente" assunto da quegli allievi, che spesso erano particolarmente amati e nei quali l'insegnante pensava di avere una sorta di figlio "aikidoistico".
Chi ha ragione, è naturalmente qualcosa che dipende molto dalle situazioni caso per caso, e dunque è difficile generalizzare.
Tuttavia, mi è capitato di essere stato, per così dire, in entrambi i ruoli, e ne ho tratto alcuni insegnamenti.
Il punto di vista del sensei è generalmente quello di chi sente di avere creato qualcosa, sopportando le difficoltà di mettere su un dojo, passando attraverso mille peripezie, fatiche, spese.
Adesso arriva qualcuno che si è allevato, si è inserito in quel sapere, e senza alcuna gratitudine, ecco che quegli allievi deviano dalla linea impressa, mettendo in pericolo il rispetto e la considerazione verso il sensei.
In una parola, usurpazione.
L'allievo ha un punto di vista differente.
Dice a se stesso che ha studiato, si è impegnato, ha inevitabilmente, come un figlio che pure cresce nel rispetto del padre, deciso, ad un certo punto, di crearsi un suo percorso, guardarsi altrove, in una parola diventare adulto.
L'insegnante, spesso, ha inoltre da tempo smesso di studiare, di aggiornarsi, di crescere.
Si è accontentato di quello che sa, e pretende che gli sia dovuta devozione, più che riconoscimento di autorevolezza.
Spesso sostiene di non essere tenuto a studiare perchè, nella sostanza, lo ha fatto per tutta la vita, e dunque non è più tenuto a dimostrare nulla.
Penso che se avesse continuato a praticare con lo spirito giusto, quello di chi non si sente arrivato, forse la insubordinazione non sarebbe avvenuta.
D'altro canto, spesso l'allievo promettente pensa gli sia dovuta, gli spetti, la supremazia.
Si dice che è giovane, vigoroso, spicca certamente tra i praticanti, ed è dunque il suo momento.
Senza prendere a prestito la psicanalisi, o la zoologia, la sfida del giovane maschio al vecchio leone, è in buona misura fisiologica e inevitabile.
Però, va anche detto che un dojo non è la savana africana, e dunque le cose non possono mettersi semplicemente in questi termini.
Il punto, allora, è che spesso entrambi gli atteggiamenti sono sbagliati.
Il sensei, nella sostanza, ha due strade.
O studia, come dovrebbe essere più corretto, tutta la vita, continuando a sforzarsi di progredire, crescere, e allora in questo modo generalmente diventa attaccabile assai più tardi, e la sua posizione è meno semplice da mettere in discussione.
In tal caso, cedere il suo ruolo potrebbe non essere necessario per moltissimo tempo, potendo rinviarsi il problema della successione all'effettivo emergere di un grandissimo talento o al tardo sopraggiungere delle vecchiaia, momento nel quale si è più pronti, se non addirittura desiderosi, di passare la mano, o almeno ritagliarsi un ruolo differente.
Al contrario, se non ha voglia abbastanza precocemente di fare tutto questo, dovrebbe iniziare a rassegnarsi all'idea che è venuto il tempo di abdicare, perchè c'è qualcuno che può dare di più alla crescita collettiva, o almeno non ostacolare l'emergere di altri riferimenti all'interno del dojo, accompagnandoli e accettandoli, piuttosto che contrastarli.
Gli allievi più bravi, d'altro canto, dovrebbero seguire un percorso non solo tecnico, ma anche umano.
Dovrebbero, in sostanza, e prima di arrivare a chiedere di prendere il comando perchè tecnicamente molto preparati, mettersi a disposizione del dojo, manifestare abnegazione e dedizione verso le sue sorti.
Arrivare prima di tutti, andarsene dopo, aiutare il sensei in qualunque modo, prima, durante e dopo le lezioni.
Solo così si dimostra di essere pronti a succedere, e di meritarlo.
Se io ho un allievo bravo, ma non fa nulla per convincermi che si prenderà cura del club, di quello che è per me come un figlio, o come una casa che ho tirato su con le mie forze, allora certamente non potrò fidarmi e farmi serenamente da parte.
D'altronde, se il mio maestro, al quale voglio molto bene, invece che gioire per i miei progressi e per la mia crescita, mostra fastidio, e insofferenza, arroccandosi nella sua autorità piuttosto che valendosi della sua autorevolezza, inevitabilmente perderà stima e considerazione.
Se ognuno operasse correttamente, a mio giudizio gran parte delle rotture e delle delusioni che spesso si verificano nelle nostre palestre non ci sarebbero.
Per me è ancora un pò presto per trovarsi in questa situazione, ma già mi sto preparando all'evento, e ad una sua gestione sana e intelligente.
Cercherò difatti, per quanto mi riguarda, di fare applicazione di queste considerazioni, che sono anzitutto delle riflessioni personali frutto di una esperienza diretta, e di situazioni alle quali ho assistito.
Ai miei allievi, attuali e futuri, dico che mi considero un funzionario dell'aikido, e non un proprietario del dojo, e che dunque all'apice di tutto stanno le sorti dell'aikido cittadino, e non la mia vanagloria.
Quando non avrò più la voglia o la possibilità di progredire, sarà il momento di farmi da parte.
Allo stesso tempo, tuttavia, dico che la successione potrà avvenire solo a favore di chi mi dimostrerà, con i fatti e non solo con le parole, che la pensa allo stesso modo.
Nel frattempo, pensiamo ad allenarci.

sabato 23 novembre 2013

Finalmente tanti!

Al terzo appuntamento con Montenegro sensei, ecco che arriva finalmente uno stage riuscitissimo, partecipato, intenso e coinvolgente.
Era nell'aria, per carità.
A Bari, nel maggio scorso, lo stage organizzato dal Waka Ki Dojo con lo stesso straordinario istruttore era andato molto bene.
Anche i nostri precedenti raduni del maestro Montenegro, poi, avevano suscitato interesse e curiosità.
D'altronde, quest'anno a Foggia, all'Aikikai Daunia, siamo molti di più, e posso dire di avere, per la prima volta da quando insegno da solo, una classe di studenti giovane e motivata, che lasciava ben sperare.
Detto questo, rimaneva il dubbio che anche questo appuntamento venisse disertato dai più, rimandando ancora una volta la definitiva affermazione della realtà cittadina come culla di un aikido rispettato e rispettabile, propositivo e degno di menzione.
Invece è andato tutto per il meglio.
Tanta gente, di diversa provenienza, addirittura due yudansha di Bologna ed, ebbene si, La Spezia, che meritano davvero riconoscenza e ammirazione.
Lezione, come sempre, complessa e incredibilmente stimolante, espressione di un sensei che va incoraggiato a proseguire in questo gravoso e magnifico compito di perpetuare l'aikido del maestro Fujimoto nel suo massimo splendore, quello dell'ultimo decennio di vita e insegnamento.
Primo giorno dedicato, decisamente, agli yudansha, con waza da shomenuchi, e grande e sofisticatissimo lavoro di entrata e tanto, tantissimo kaiten.
Secondo giorno, con studio su attacchi laterali, ovverosia da gyakuhanmi katatetori  e yokomenuchi.
Precisione e attenzione ai dettagli, enorme e magnifica.
Vedendo la reazione dei partecipanti, direi di avere avuto l'ennesima conferma della bontà della decisione di invitare questo istruttore di incredibile caratura.
Mi è sembrato di cogliere, dai visi e dalle dichiarazioni degli allievi e degli intervenuti tutti, ammirazione e direi in qualche modo reale entusiasmo, pure a fronte di un lavoro serio e tecnicamente attento, poco incline alla spettacolarizzazione, e che invece ha fatto breccia, lasciandoli rinvigoriti nella loro voglia di fare aikido e apprendere.
La prova migliore, d'altro canto, l'ho avuta vedendo la partecipazione alle lezioni nella settimana successiva allo stage.
Praticamente il tutto esaurito, il che attesta inequivocabilmente quanto questi ragazzi si siano sentiti stimolati e ricaricati.
Ne sono felice.
Spero che continui così.
Complimenti vivissimo al maestro Montenegro, che sono sicuro si affermerà come un esponente di importanza non solo nazionale dell'aikido contemporaneo, e che mi auguro, nell'interesse di tutti e mio per primo, non si stanchi di lavorare in questo modo, con questa dedizione e fedeltà alla immensa sapienza che ha ereditato, che si è conquistato, e che è fondamentale non vada perduta.
Ai responsabili di dojo, soprattutto quelli giovani, raccomando di provare ad invitare questo sensei, perchè, mi credano, non se ne pentirebbero affatto.
Buon allenamento e buona domenica.
Luca

venerdì 1 novembre 2013

Stage con Montenegro sensei. 16/17 Novembre.

Raccomando a tutti i praticanti della zona, e con zona intendo...tutta l'Italia e oltre, di accorrere al raduno che si terrà a Foggia, il prossimo 16 e 17 novembre.
Lo stage è diretto da Daniele Montenegro, insegnante decisamente speciale grazie alla sua intensissima frequentazione con il Maestro Fujimoto, e dotato, certamente, di uno straordinario talento aikidistico.
Partecipare a questo raduno, e seguire le direttive didattiche di questo sensei, vuol dire avere reale contezza di quello straordinario bagaglio di conoscenza e genio che è il grande lascito del Maestro Fujimoto, scomparso oramai quasi due anni fa.
D'altro canto, Montenegro è di suo un talento notevolissimo, e questo non va comunque dimenticato.
E' un insegnante paziente, attento, scrupoloso, e del suo immenso mentore ha preso il meglio.
Sono orgoglioso di averlo ospite, e ritengo questi stages un'occasione preziosissima di crescita collettiva, e del movimento foggiano in particolare.
Vi troverete di fronte ad un insegnamento "scientifico", che nulla lascia all'improvvisazione e al caso, scevro da protagonismi e atteggiamenti da narciso.
Spero con tutto il cuore che questa occasione non vada sprecata, e che allo stage partecipiate entusiasti e numerosi.
Desidero sinceramente che Foggia sia la culla di un buon aikido, rispettato e serio.
Questa è una grande opportunità di arricchimento collettivo, di verifica del livello raggiunto, e dobbiamo evitare che rimanga non sfruttata.
La locandina è sul sito aikikai.
Per ogni dubbio e informazione, chiamatemi pure.
Vi aspetto, non mancate.
Luca

giovedì 26 settembre 2013

Fujimoto e le sue variazioni

Nella vulgata comune, l'insegnamento del maestro Fujimoto, oltre che essere "elegante" e"difficile", era conosciuto e percepito come particolare e insolito, e reso tale dal frequente ricorso alle "variazioni".
Credo che si tratti, di per sè, di un ennesimo fraintendimento del senso del suo insegnamento, delle ragioni che determinavano qulle modalità di agire, e della complessità e ricchezza del personaggio, la cui grandezza e genialità, mi pare di poter dire, non sia stata appieno compresa dall'aikido italiano, o meglio da parte di esso.
Le c.d. variazioni che spesso il maestro proponeva, costituite in sostanza dalla introduzione di una serie molto ampia di modalità di esecuzione di una stessa tecnica, sono state spesso percepite alla stregua di capriccio estetico, o al più di stimolo didattico, quasi che si trattasse di uno stratagemma per contrastare la noia.
Ma perchè diavolo, nell'eseguire, tanto per dire, aihanmi katatetori ikkyo, Fujimoto usciva una volta a destra, l'altra a sinistra, o certe volte "chiamava" uke e altre entrava, o ancora talvolta faceva un movimento che pareva sconfessare nella variazione successiva?
Dall'esterno, questo comportamento poteva apparire qualcosa di "artistico", che non aveva specifiche ragioni se non quella di soddisfare un bisogno di alternanza nell'allenamento.
Si tratta, ritengo, di un colossale equivoco, perchè il problema del maestro non era affatto quello di annoiarsi o di "sorprendere" l'allievo.
Il problema, evidentemente, è che gli attacchi, e le situazioni nelle quali matura una tecnica sono assai varie, e occorre allenarsi per farvi fronte apportando i necessari adattamenti.
Se allora la tecnica che intendo eseguire, appunto, è un ikkyo da presa al polso e stessa guardia, la mia esecuzione dovrà profondamente cambiare a seconda che, per esempio, la presa si consolidi quando tori ha il polso alto, medio o basso.
Se mi prende in un modo, per uscire dalla presa e piazzare la tecnica non potrò certo fare esattamente come farei se quelle condizioni fossero totalmente differenti.
Se la presa è alta, per esempio, evidentemente il suo gomito sarà già alto, e allora potrò entrare direttamente, piazzando subito la leva.
Se però la presa avviene ad esempio molto in basso, mi sarebbe impossibile vincere la forza del suo braccio in estensione,  e allora dovrò necessariamente abbassare ulteriormente uke in modo da sbilanciarlo e potere entrare poi sfruttando il suo sbilanciamento.
Ed ecco che nasce "la variazione", per esempio uscendo dalla sua linea di attacco attraverso un tenkan interno, o uno spostamento in apertura laterale.
Questa, e non altra, era la ragione per la quale la proposta didattica conosceva molte di queste soluzioni "alternative", e non vi era dietro alcuna particolare esigenza estetica.
E' davvero stupefacente, ritengo, che altre "scuole" non conoscano questo approccio, quasi che forze misteriche possano porre rimedio ad una condizione di minorità che la pratica non prende neppure in considerazione, o come se energie para religiose possano determinare il superamento delle leggi stesse della fisica.
E' un peccato, e penso che in qualche modo l'etichettamento dell'aikido del maestro nel senso di aikido si bello ma non "realistico", abbia rappresentato un limite nella comprensione della incredibile profondità di quell'insegnamento, della eccezionale "marzialità" di esso, e in generale attesti una certa faciloneria nello studio della disciplina che ha connotato e connota gran parte della platea di praticanti  e di molti insegnanti.
L'auspicio, per quanto mi riguarda, è che questo velo di incomprensione venga, con il tempo, superato, e che la grandezza "eccezionalissima" del maestro e del suo lascito possa finalmente e davvero rivelarsi, perchè da tanto non può che derivare un gigantesco e tangibile miglioramento dell'aikido italiano, e di quello della nostra associazione in primis.
Buona pratica.



martedì 3 settembre 2013

Anno accademico prossimo venturo

Riprenderanno il prossimo 9 settembre le lezioni al dojo.
Chiunque volesse provare, sempre che sia spinto da una sincera curiosità verso questo mondo, e premesso che in una lezione non può comprendersi alcunchè della disciplina, può sempre venire a tentare.
Entro un anno o due, dovrò sostenere l'esame per il conseguimento del quarto dan.
Dunque, cercherò di spingere un pò di più nel senso della durezza fisica degli allenamenti e della complessità delle tecniche che sperimenteremo.
Chi volesse venire a trovarci, da altri dojo, è, sinceramente, il benvenuto.
Spero di frequentare il più possibile stage formativi e interessanti, e mi concentrerò molto su quelli dei sensei Travaglini, Montenegro, Foglietta.
Buona pratica a tutti, a qualunque stile e dojo apparteniate.
Venite a curiosare, saremo felici di accogliervi.
A presto.
Luca

domenica 28 luglio 2013

L'aikido è per tutti

Ero ancora molto piccolo, e avevo appena cominciato a praticare, quando lessi questa frase da sempre attribuita al doshu dell'epoca, Kissomaru Ueshiba.
La riportava il Maestro Fujimoto in una bellissima e lunga intervista se non ricordo male concessa a Simone Chierchini.
Nell'intervista, Fujimoto sensei raccontava di come, quando aveva iniziato ad insegnare, tendesse a proporre un aikido più duro, e il suo atteggiamento fosse, rispetto a qualche nuovo arrivato che appariva magari inadatto fisicamente e forse anche mentalmente alla pratica marziale, appunto duro, severo, come di chi vuole mandare via quell'allievo, e scoraggiarlo.
Poi, diceva più o meno nell'intervista, il Doshu ha detto che l'aikido doveva essere per tutti, e il Maestro conveniva sul fatto che anche lui vi si fosse adeguato non tanto o non solo perchè l'aveva detto la Guida, ma perchè era il mondo ad essere cambiato, e gli aikidoisti dovevano prenderne atto.
Le atrti marziali, da sempre, vivono questa sorta di conflitto.
Da un lato, hanno voluto aprirsi al grande pubblico, hanno fatto proselitismo, hanno tentato di diventare popolari e aspirano ad essere praticate da un gran numero di persone.
Dall'altro, ci si rende conto che ad una platea molto ampia fa riscontro una necessaria attenuazione di ciò che rendeva le arti marziali diverse dalle altre attività, soprattutto sportive.
Aprirsi vuol necessariamente dire ridimensionare la severità nell'approccio didattico, la durezza fisica degli allenamenti, la selezione dei soggetti ai quali indirizzare e adeguare la didattica.
Nell'aikido nessuno deve essere lasciato indietro.
Non posso, se devo insegnare a due persone di cui uno è un brillante e promettente giovanotto nel pieno delle sue forze, e l'altro un uomo attempato e sovrappeso, dedicarmi al primo lasciando che l'altro si roda sul tatami nel tentativo di comprendere qualcosa.
Anzi, forse, a me capita, devo dedicare al secondo molta più attenzione, perchè l'aikido è per tutti.
Condivido in pieno questo approccio, e tuttavia ne vedo qualche degenerazione nel momento in cui andiamo ad esaminare.
Sebbene l'aikido sia per tutti, in sostanza, è per tutti anche la progressione nei gradi?
Me lo chiedo, a dire il vero, tutte le volte in cui assisto ad una sessione di esami.
Vedo talvolta qualcuno che è molto grasso, completamente fuori forma, che sostiene un esame anche piuttosto avanzato, e mi chiedo cosa farei io al posto dell'esaminatore.
Mi dico, difatti, che quella persona si è presa la briga di mettere addosso una buffa divisa, ha sottratto del tempo alla famiglia, che magari gliene fa una colpa, si è inginocchiato, ed ha partecipato entusiasta ad un raduno pieno di gente che lo ha sbatacchiato al suolo per ore.
Deve essere promosso, devo essergli grato di tanto.
Poi, allo stesso tempo, mi accorgo che sbaglia anche molti movimenti, gli mancano le basi, e, penso tra me e me, potrebbe mangiare un pò meno, o, se il problema non è quello, potrebbe andare in bicicletta, tanto per dire.
Dunque cosa bisogna fare, promuoverlo o bocciarlo?
Me la sentirei di dirgli che non va bene, e che sarebbe più opportuno che tornasse l'anno prossimo, preparandosi meglio dal punto di vista atletico e tecnico?
La risposta, a dire il vero, non ce l'ho.
Se è vero che tutti abbiamo il diritto di fare aikido, non è altrettanto vero che abbiamo il diritto a conseguire gradi superiori, che non rispecchiano il nostro livello.
Tuttavia, mi rendo conto che la bocciatura verrebbe probabilmente vissuta in modo umiliante, forse accettata con stile ma lasciando una forte delusione, portando all'abbandono dello studente.
Direi che, quanto meno, si possono fissare dei paletti.
Si potrebbe stabilire, ad esempio, che si sia più duri con chi ha responsabilità di dojo, o comunque insegna o aspira a farlo.
Si potrebbe forse responsabilizzare gli insegnanti dai quali quegli esaminati sono guidati, dicendo loro che spetta ad essi non firmare domande di esame di persone che non sono pronte, e magari hanno bisogno di un pò più tempo per studiare meglio.
Si potrebbe e dovrebbe ricordare, a chi decide di avvicinarsi all'aikido, che nella nostra disciplina non devono esistere gli scatti di anzianità. e che, quando non si progredisce più, quale che ne sia la ragione, potrebbe doversi accettare che non si conseguano gradi ulteriori.
Che l'esame non serve all'insegnante, ma a chi lo sostiene, come confronto con se stessi, misura del proprio progredire.
Detto questo, io non so bene che farò, quando dovesse capitarmi un dilemma del genere.
Promuovere qualcuno che penso non sia pronto, con il rischio di litigare con il suo insegnante, perdere un allievo, o non essere mai invitato a presiedere una sessione di esami, o bocciarlo, cercando di fargli capire che ho il dovere di valorizzare chi è più bravo, perchè l'aikido non si svilisca, e tuttavia ferendolo?
Ancora non ho deciso, e per fortuna nessuno mi invita a fare esami ai suoi allievi.
Per quanto mi riguarda, cercherò di trasmettere ai miei allievi l'idea che devono dare il massimo.
Chi è fisicamente debole, deve quanto meno essere tecnicamente "impeccabile".
Chi ha buona forma, non lesini sudore e fatica.
Cercando, naturalmente, di dare il buon esempio.
Buone vacanze a tutti.

domenica 26 maggio 2013

Il terrore della spersonalizzazione nella pratica

Ho partecipato a Bari, l'11 ed il 12 maggio scorsi, ad uno stage organizzato dal waka ki dojo di Mimmo Casale, tenuto da Daniele Montenegro.
Al raduno, finalmente e dopo molto tempo, è intervenuto un apprezzabile numero di persone e provenienti, fatto questo ancora più importante, da dojo diversi, sia pure della zona.
E' stato bello lo stage?
Per me, è stato bellissimo, e questo è prevedibile vista la mia sincera ammirazione e il profondo interesse che ho per il lavoro svolto da quell'istruttore, del quale ho già detto e continuerò a dire.
Stando ai commenti raccolti, comunque, sembravano tutti molto soddisfatti, e anche da quelli che alla vigilia parevano maggiormente scettici sono arrivati soltanto approvazione e spesso entusiasmo per quella impostazione didattica e quell'approccio nella esecuzione delle tecniche.
Cosa ha fatto Montenegro per piacerci così tanto, è presto detto.
Ha sostanzialmente riprodotto, con dovizia di particolari, quello che aveva visto fare dal suo Maestro, Fujimoto shihan.
Lo ha fatto, e lo fa sempre, appunto in maniera molto fedele, non inventando nulla, in un'ottica di perpetuazione pedissequa, e il più possibile autentica, dell'insegnamento al quale ha assistito, con invidiabile vicinanza, per oltre dieci anni, mattina e sera.
In sostanza, può pacificamente dirsi che copia.
Anche io copio, quando insegno e quando pratico, ma lo faccio meno bene di Montenegro.
Ho spesso avvertito, anche in qualche colloquio che ho avuto con altri praticanti, diffidenza rispetto a questo approccio, quasi che, così facendo, si finisse per limitarsi a scimmiottare il Maestro di riferimento, o peggio perdere l'anima.
Recentemente ho anche letto sul blog del dojo di Lauria uno scritto piuttosto polemico con il quale viene stroncato questo metodo, definito, in ultima analisi, una sorta di ripetizione piuttosto idiota se non ridicola degli insegnamenti ricevuti.
Si diventa talmente ridicoli, continua quella riflessione, che si inizia a parlare una specie di giappaliano privo di alcuna ragione.
Io non conosco bene il mondo della musica classica, ma se devo pensare a qualcosa di artisticamente perfetto e al contempo al quale si accede attraverso uno studio rigorosissimo e di eccezionale dedizione, quel mondo mi viene subito in mente.
Il pianista classico, credo, spende gran parte della propria giornata ad esercitarsi, a tentare di svolgere sempre meglio, in un'ottica di miglioramento continuo, esercizi complicatissimi, difficilissimi, ardui.
Esegue pedissequamente quello che gli viene mostrato, e immagino che, per anni ed anni, nessuno si ponga il problema di dare personalità alla esecuzione, e renderla differente da quella di chi la sta insegnando.
Tanto meno, penso, si tenti di insegnare la composizione musicale.
Non ho mai sentito parlare di scuole di composizione, credo che non ne esistano nè ne siano mai esistite.
In sostanza, ancora immagino, una persona (generalmente giovanissima), viene inquadrata nel sapere pianistico attraverso un insegnante che propone esercizi che sono uguali ovunque, che si tramandano, e che si pretende che l'allievo riproduca così come gli sono stati proposti.
L'insegnante, in linea di massima, non inventa nulla.
L'allievo, in linea di massima, non inventa nulla.
I brani che verranno eseguiti, in linea di massima, sono creati da una strettissima minoranza di individui.
I grandi pianisti sono compositori?
Raramente, se non rarissimamente.
Cosa si chiede ad un grande pianista?
Gli si chiede di riprodurre brani altrui.
Gli si chiede di riprodurre quei brani in maniera perfetta, senza alcuna imperfezione, con leggiadria, eleganza, ma senza sbavature e soprattutto, senza alcuna aggiunta, interpolazione, mutilazione.
Il grande pianista, poi, si contorce nella esecuzione, assume espressioni che probabilmente ha visto fare da altri, ma ai concerti non gli ridono dietro, e non lo considerano una scimmia.
E torniamo all'aikido.
In questo mondo, chissà perchè, pensiamo tutti di essere Mozart, Beethoven, Chopin.
Non ci basta essere degli esecutori.
Pensiamo spesso di dovere creare.
E che diamine, non siamo mica degli orangutang!
A me, devo confessarlo, basterebbe imitare quell'immenso Maestro, e farlo decentemente bene anche solo in  parte.
Personalmente, sia chiaro, non mi interessa inventare qualcosa, perchè molto probabilmente non sono in grado di farlo, bensì tramandare quel sapere, tentare di farlo vivere oltre il suo creatore e, naturalmente, oltre me.
Sarà perchè non valgo poi molto.
Avverto i naviganti, però, che non vedo tanti Beethoven o Chopin in giro.
Forse sarebbe il caso dotarsi di un pò di senso del ridicolo, prima di pensare a quanto sono ridicoli gli altri.
Scimmiottare il Maestro, difatti, non è fargli il verso nel momento in cui si spiega, perchè quella è una semplice immedesimazione, simile per certi versi a quella del pianista che fa le mosse nel suonare che ha visto eseguire ad altri.
Scimmiottare è ben altro.
Il mio auspicio, pena la certa scomparsa dell'aikido come sistema organizzato e compiuto di sapere, è che ciascuno di noi si prefigga, anzitutto, di fare e riprodurre bene quello che gli viene insegnato.
Quando si diventa insegnanti, trasmettere quel sapere nella maniera più fedele possibile, lasciando a pochi il compito di creare, perchè non tutti ne siamo all'altezza.
Per quanto mi riguarda, continuerò a seguire con entusiasmo chi trasmette le conoscenze del Maestro del cui lavoro mi sono innamorato in maniera corretta e che ha l'umiltà di non volere inventare nulla, a costo di sentirsi dire che è solo una scimmietta.
Lasciando a chi è geniale il compito di aprire nuove frontiere del sapere aikidoistico.
E a chi crede di esserlo quello di autoproclamarsi tale.
Buon lavoro a tutti.

domenica 14 aprile 2013

Crescere troppo presto.

Ho iniziato a praticare aikido oltre venti anni fa, sul finire del 1990.
Feci aikido perchè nutrivo da sempre interesse per le arti marziali, e, nello scegliere su quale di esse indirizzarmi, sentii parlare di questa (per me completamente sconosciuta) disciplina.
Seagal, in altre parole, non ha avuto alcun ruolo.
Mi sono allora iscritto, il dojo si chiamava aikikai Foggia, e non era all'epoca neppure l'unico in città.
Uno, non ricordo come si chiamasse l'associazione, era diretto da una persona che aveva, udiete udite, studiato anni con il Maestro Fujimoto a Milano.
Io però scelsi quell'altro, e non accadde perchè discettavo di preferenze didattiche e stilistiche, bensì perchè ci andavano già due miei compagni di scuola.
Tuttavia andavo spesso a curiosare alle lezioni di quell'altra scuola, della quale, a dire il vero, non comprendevo le differenze tecniche.
Ricordo che pensavo che facessero molte più cadute, ma per il resto mi sembrava sostanzialmente la stessa cosa.
Naturalmente non era vero, ma era quello che vedevo.
Stage, a Foggia e dintorni, se ne organizzavano pochi, perchè all'epoca a tenerli erano soltanto maestri giapponesi.
Comunque, se ve ne erano, semplicemente si andava, e non si pensava che fossero troppo costosi, nè tanto meno che vi fossero istruttori graditi o meno.
Tranquilli, non voglio raccontare la storia della mia pratica aikidoistica.
Volevo raccontare quella che era la mia, e la nostra (anche i miei compagni di allenamento erano come me) "ingenuità" nell'approcciare allo studio.
Sapevamo anche noi che, non so, Fujimoto faceva in un modo e Hosokawa in un altro, o che Tada aveva uno stile tutto suo.
Tuttavia, da principianti, non ci ponevamo affatto il problema.
Erano tutti eccezionali.
La mia palestra era "non Fujimotiana", per un certo periodo era molto vicina a Kurihara, che ci seguiva molto, ma io, come dicevo, andavo a curiosare nel lavoro degli altri.
Quello che noto, è che adesso i principianti (intesi come le cinture bianche, soprattutto ai primi anni) sono molto più ideologizzati.
Già pretendono di avere un percorso didattico e tecnico di riferimento.
Se allora la mia palestra organizza uno stage con l'insegnante che "fa come Fujimoto", ecco che gli studenti dell'altra scuola non vengono, e nemmeno a curiosare.
Non vengono a praticare e neppure ad assistere.
Non si affacciano alle mie lezioni, nè lo fanno i miei, ai quali invece dico di andare a vedere il lavoro degli altri.
A me pare incredibile.
Come possono non essere curiosi?
Una persona che fa aikido da, chessò, due anni, non ha neppure i mezzi mentali per comprendere davvero quelle che sono le differenze e le vicinanze tra un metodo ed un altro.
Che occorra scegliere, ad un certo punto, sono assolutamente convinto.
Tuttavia, lo si può e lo si deve fare quando si è compiuta una parte accettabilmente lunga della strada, quella diciamo così generica, ed è venuto il momento di "specializzarsi".
D'altro canto, il Maestro Fujimoto, che per me è stata letteralmente una folgorazione, è arrivato tardi nella mia vita aikidoistica, come penso fosse giusto che accadesse, perchè in questo modo ho potuto davvero capire la sua infinita grandezza.
Ora, è vero che esistono storie d'amore nate quando due persone avevano, chessò, quattordici anni.
Si sono scelti, e non si sono più lasciati.
Però sono eccezioni.
Normalmente, per un certo tempo, piò o meno lungo certo, occorre sperimentare, conoscere, in altre parole formarsi.
Occorre guardarsi intorno, assaggiare un pò tutto di quello che ci viene proposto, e solo quando ci si è sufficentemente completati, ecco che può compiersi una scelta consapevole e "informata".
Dunque, principianti e mudansha, e più in generale chiunque non abbia ancora trovato la propria strada, devono essere incoraggiati a curiosare, e a frequentare gruppi di lavoro differenti ed eterogenei.
Non chiudetevi, almeno sino a quando non sarete certi, perchè avrete scelto dopo un periodo di formazione apprezzabilmente lungo e vario, a quale stile e Maestro di riferimento vorrete votarvi.
A quel punto, dedicatevi anima e corpo a quel modello, e cercate di apprendere tutto il possibile di quello.
Senza comunque chiudersi in una specie di convento di clausura.
Tenendo gli occhi e le orecchie aperte.
Senza fideismi e idolatrie.
Buona pratica a tutti.
Luca

venerdì 5 aprile 2013

stage Maestro Foglietta, informazioni

Aikikai Daunia, Dojo affiliato alla Associazione di Cultura Tradizionale Giapponese
AIKIKAI D’ITALIA
Organizza uno
­­Stage di Aikido
FOGGIA 06-07 APRILE 2013
Diretto da
SENSEI ROBERTO FOGLIETTA
(VI DAN AIKIKAI d’ITALIA)
Orari

         Sabato  09                      h. 17.30-18.00   iscrizioni
                                                h. 18.00-20.30   lezione

       Domenica 10                    h. 09.00-09.30   iscrizioni
                                                 h. 09.30-12.00   lezione



Lo stage si svolgerà nella sala destinata al Judo presso la palestra di atletica pesante “Taralli”, sita in Foggia alla via Baffi n. 27.
Il complesso sportivo si trova nella zona di parco s. Felice, alle spalle della piscina comunale, accanto al circolo schermistico dauno.
E’ necessario munirsi di jo, bokken, tanto.
Chi ne fosse sprovvisto, è pregato di avvertire qualche giorno prima dello stage il responsabile del dojo Aikikai Daunia.

Costo Stage:                  Intero stage                              40.00
                                               Un solo giorno                         25.00

E’ auspicabile che, salvi reali impedimenti, la partecipazione avvenga rispetto ad entrambe le giornate di allenamento.                                  

Per ogni informazione rivolgersi al responsabile di dojo: Gianluca Daniele, tel. 348/3148771

giovedì 4 aprile 2013

Stage con il maestro Foglietta

Si svolgerà il sei e sette aprile, a Foggia, lo stage diretto dal Maestro Roberto Foglietta, VI dan, responsabile dei dojo Renbukai di Pesaro e Rimini.
Gli orari sono, al sabato, dalle 18.30  alle 20.30, e dalle 09.30 alle 12.00 la domenica.
Si tratta, come è ai più noto, di uno dei più valenti e stimati insegnanti italiani, incaricato (con sensei Travaglini) direttamente dal maestro Fujimoto, nel suo "testamento" didattico e spirituale, di dirigere gli stage internazionali invernale ed estivo.
E' uno dei miei insegnanti di riferimento, da tempo, e gli sono grato per l'attenzione che sta mettendo alla crescita, faticosa ma continua, del mio piccolo dojo.
Ciascuno nella diversità del suo ruolo, il suo è ben più gravoso, siamo entrambi responsabili dell'impegno di perpetuare e mantenere in vita quel magnifico e sterminato patrimonio di sapere e conoscenza che era l'aikido praticato dal maestro Fujimoto.
I raduni e le lezioni del maestro Foglietta sono straordinariamente intensi dal punto di vista fisico e psicologico.
Chiede sempre il massimo, una attenzione continua e concentrata, e riesce con la sua grinta a tirare fuori il meglio da ogni praticante.
Sono certo che chi deciderà di partecipare, si divertirà e tornerà certamente più preparato e motivato agli allenamenti quotidiani.
Dunque, accorrete.
Accettate la "sfida".
Sono sicuro che, ne converrete, ne varrà la pena.
A presto.
Luca

domenica 24 febbraio 2013

Ad un anno dalla scomparsa del Maestro

Il 20 febbraio scorso è passato un anno dalla morte del Maestro Fujimoto.
Mi capita spesso di parlare di lui agli allievi, che in gran parte non lo hanno mai conosciuto, ma non ho mai ben capito se mi riesce davvero di rendere efficacemente tutta la grandezza ed eccezionalità di questo personaggio, anche se considerato alla luce di altri grandi shihan e maestri che lo hanno preceduto e che ne sono stati contemporanei.
Sembrano incuriositi, e certamente comprendono, da quello che dico, quanta importanza abbia avuto la sua influenza sul mio modo di praticare e insegnare.
Tuttavia, ho qualche volta il dubbio che pensino che la mia fosse una specie di adorazione, una sorta di infatuazione, il che mi dispiacerebbe, perchè non si è mai trattato di questo.
Sono una persona abbastanza aliena da questi rischi, e comunque l'ho seguito troppo sporadicamente perchè potessi invaghirmi della personalità, certamente magnetica, del Maestro.
Comunque, quello che era impressionante era anzitutto la sua didattica.
Univa un sapere enciclopedico ad un talento unico ed inarrivabile, ed era un faro luminosissimo e rivelatore.
Era capace di scomporre e rimontare le tecniche e i movimenti, spiegarne ogni momento e aspetto, rendendo perfettamente comprensibile ogni più remoto particolare e segreto.
Non ho mai visto, in alcun altro Maestro, una capacità altrettanto sovraumana di dominare ogni singolo frammento della esecuzione dei waza.
Quello che era abbastanza stupefacente, peraltro, era che quando poi quei singoli frammenti venivano ricomposti, e l'esecuzione accellerata, la tecnica risultava avere la stessa identica precisione di quando l'aveva eseguita al rallentatore, fatto questo, anch'esso, mai visto presso gli altri pur grandi shihan.
Il suo stile, assai evolutosi negli anni, era poi straordinariamente elegante, fluido, sferico.
L'uke veniva letteralmente "aspirato" nel vortice che il Maestro riusciva a generare nello stabilire il contatto, senza tuttavia risultare stucchevole e "ballerino", come capita talvolta a chi tenta di essere elegante, e risulta spesso più simile ad un danzatore che ad un esecutore di tecniche marziali.
Questo era possibile perchè la scelta di tempo, e la gestione della distanza, erano letteralmente perfette.
Era poi una persona straordinariamente simpatica.
Sorrideva spesso, ed era eccezionale nel coinvolgere, incoraggiare.
Ricordava praticamente di tutti quelli che frequentavano le sue lezioni e i suoi stage, mostrando una memoria da questo punto di vista impressionante.
Soprattutto prima di ammalarsi, girava continuamente per il tatami, e tirava le tecniche con chiunque gli capitasse a tiro.
Ogni tanto si rabbuiava, ed era capace di fenomenali ramanzine.
Questo gli ha procurato numerosa avversione, e forse un pò è anche colpa sua, di qualche eccesso giovanile, o forse al contrario da sensei vecchio stile.
Con il tempo, comunque, questo aspetto era diventato decisamente secondario, e non esagerava mai.
Se c'era qualcosa che non condivideva, di solito raccontava qualcosa, aneddoti o espedienti analoghi, per farsi intendere.
Ed era, a mio giudizio, efficacissimo.
Ripeteva spesso che, per progredire, bisognava studiare, e farlo sempre con l'atteggiamento di chi è concentrato, presente, quello di chi sa che ogni volta può essere l'ultima.
Quando è arivata la malattia, terribile e spietata nel suo verdetto senza speranza, ha continuato a praticare, e lo ha anzi fatto ancora meglio.
Ha lottato come un leone, e ci ha impartito la più impressionante lezione di coraggio, dignità e amore per l'aikido cui si potesse assistere.
Spesso, in quegli incredibili due anni, ci ha detto di impegnarci di più, di tentare di capire di più, perchè lui non aveva più molto tempo.
L'ultimo stage lo fece in novembre, ricordo che aveva un braccio completamente fuori uso, ma sorrise e incoraggiò anche in quell'occasione, paziente e paterno.
Ancora non riesco a credere che non ci sia più, e il vuoto, per quanto cerchiamo tutti di andare avanti, è immenso, e la tristezza grandissima.
Avrei voluto dirgli quanto sia stato importante per me, e per l'aikido, ma spero e credo che lo sapesse.
Addio, grande Maestro.
Nessuno potrà dimenticarti.

venerdì 11 gennaio 2013

Stage 26 gennaio 2013, maestro Casale

Si terrà presso i locali del nostro dojo uno stage "monolezione" diretto dal Maestro Domenico Casale, V dan dell'Aikikai d'Italia.
Si svolgerà il 26 gennaio, sabato, e l'allenamento si protrarrà tra le 16.30 e le 19.30.
La quota di iscrizione, al fine di incoraggiare una massiccia partecipazione, sarà poco più che simbolica.
Mimmo Casale è, come sa chiunque sia un minimo addentro alla vita aikidoistica, un sensei stimato e apprezzato pressochè universalmente nell'ambiente.
Pratica da oltre trent'anni, e insegna da almeno venti.
La sua scuola, presso la quale mi reco ad allenarmi settimanalmente da oramai quattro anni, è caratterizzata da lezioni intense e, direi, divertentissime.
Mi hanno aiutato a prepararmi per l'esame di terzo dan e sono assolutamente convinto che il lavoro fatto con loro, e dunque con Mimmo in primis, abbia dato enormi frutti, e mi abbia consentito di superare la prova in maniera relativamente agevole.
Era, mi è sempre sembrato di intuire, particolarmente caro al Maestro Fujimoto, che credo lo stimasse anche sotto il profilo tecnico.
Penso abbia, obiettivamente, un talento che raramente mi è capitato di vedere in altri pure affermati praticanti.
Ritengo che ove avesse scelto la strada del professionismo avrebbe fatto grandi cose, ed è comunque un autorevole interprete del Maestro, soprattutto della sua fase "anni 90", per così dire.
Fisicamente sembra un ragazzino, e vederlo all'opera è da questo punto di vista piuttosto impressionante.
Gli devo, poi, anche altro, perchè ricordo vivissimamente un articolo da lui scritto sulla rivista dell'associazione (quando ancora era una rivista bellissima, e stendendo un velo pietoso su questo argomento), e  che lessi quando avevo pochi anni di pratica, nel quale con straordinaria nonchalance, e senza alcuna enfasi sulle difficoltà che comportava, raccontò del suo impressionate peregrinare per l'Italia, girando dojo in ogni dove, al fine di imparare e mettersi alla prova.
Quell'articolo mi ha segnato profondamente, e ha rappresentato per me sempre un modello da imitare, ed un esempio di dedizione, abnegazione alla disciplina, e, direi, entusiasmo e amore per essa.
Insomma, venite.
Ci divertiremo.

domenica 6 gennaio 2013

Stages recenti

Procedo a rendicontare, sia pure con un pò di ritardo, due stages svoltisi sul finire dell'anno passato.
Il primo è quello di Foggia, tenutosi l'ultmia settimana di Novembre, e diretto da sensei Daniele Montenegro.
Il secondo, il raduno di Natale, "tornato" a via Porpora dopo l'intermezzo di due anni a Lambrate.
Quanto allo stage di Montenegro, dirò che esso rappresenta il seguito di quello svoltosi nel gennaio 2012, e che ha iniziato una collaborazione che personalmente mi sta molto a cuore, e che trovo preziosissima per il dojo che conduco e la realtà foggiana e pugliese tutta.
Sensei Montenegro, uno dei più stretti collaboratori e allievi del Maestro Fujimoto per oltre dieci anni, ha impostato la prima lezione, quella del sabato, su tecniche di entrata da aihanmi katatetori preparatorie di waza assai più complessi, quali quelli di leva da attacchi in ushiro katatetori kubishime, in altre parole gli strangolamenti.
Afferrato da uke al polso, tori procedeva ad entrare nella guardia di quello attraverso un movimento diretto, da effettuarsi con lo spostamento della gamba interna, ossia quella più vicina ad uke e corrispondente alla mano afferrata.
Ha preferito lavorare su questo ingresso, differente da quello tradizionalmente utilizzato, appunto perchè le tecniche miravano a preparare gli ushiro waza, nelle quali evidentemente non è possibile spostarsi se non con quella gamba.
Uke, difatti, nell'applicare lo strangolamento tende a tirare verso di sè tori, cosicchè, non essendoci possibilità di spostamento se non minimo, si rende necessario uscire nella direzione dalla quale proviene l'attacco nel contempo "alzando" il braccio dell'aggressore attraverso un movimento di te sabaki (girando il polso in modo da vedere il dorso della mano) che ne sposti in alto, appunto, il baricentro.
Abbiamo eseguito così tecniche base di leva, ossia ikkyo, nikkyo  e sankyo, omote e ura, operando anche la variante rappresentata dalla uscita in ginocchio e lavorando anche sulla mano opposta, ossia quella dello strangolamento.
Grande attenzione è stata riservata, come illustrava sempre il Maestro, alla necessità di non spezzare il contatto tra i due partners, rimanendo bassi e raccolti, e vicini ad uke.
Il secondo giorno, Montenegro ha invece lavorato sulle tecniche da gyakuhanmi katatetori, prevalentemente ikkyo, enfatizzando in particolare il te sabaki necessario a fare muovere attorno a tori l'uke (ancora una volta ruotando il polso e costringendo uke, se "vuole" tenere, a "camminare" per mantenere la presa e riavvicinarsi a tori), e il movimento dello stesso uke indispensabile per conservare la presa e consentire la prosecuzione e conclusione delle tecniche.
E' stato, conclusivamente, uno stage interessantissimo, ricco di spunti e nozioni che mi hanno ricordato in maniera vivissima le lezioni "Fujimotiane", piene di dettagli e stimoli, con una impressionante attenzione ad ogni aspetto tecnico e marziale, e senza alcun cedimento all'improvvisazione e alla frenesia.
In  altre parole, si è studiato, e non solo sudato.
E' stato un raduno talmente convincente, che anche a Bari hanno deciso di invitare Montenegro nella seconda metà di maggio, il che, spero, costituirà un ulteriore tassello verso la definitiva affermazione di questo straordinatrio insegnante.
Si è poi svolto a Milano, tra Natale e Capodanno, il tradizionale stage nazionale, come dicevo "rientrato" a Via Porpora, nel dojo Fujimoto.
Il posto è piccolo, va detto, e conseguentemente si è reso necessario organizzare i due turni divisi tra mudansha e yudansha.
Si sono alternati i maestri Travaglini e Foglietta, entrambi sesti dan e incaricati, dallo stesso Maestro Fujimoto, di dirigere i due stages, quello di Laces e quello di Natale, che costituivano i due raduni principali del gruppo.
Le lezioni hanno avuto ad oggetto tecniche di ogni genere, come è tradizione negli stages lunghi, e hanno riguardato attacchi "semplici", quali prese al polso (ma il Maestro diceva sempre che le tecniche più difficili sono quelle dell'esame di sesto kyu) sino a combinazioni complicate quali ushiro eri dori o, non so, katatori menuchi in suwariwaza.
E' stato uno stage bello, pienissimo di partecipanti, con la sala letteralmente stracolma.
Anche in questo contesto, è stata prestata straordinaria attenzione ai dettagli e agli aspetti tecnici di ogni waza affrontato, con enorme cura nello spiegare le caratteristiche del contatto uke tori e della "genesi" delle tecniche e dei movimenti.
Sono rientrato da Milano con una impressionante voglia, direi anzi bramosia, di praticare, segnale inequivocabile della riuscita dello stage, della carica che mi ha dato e degli spunti di lavoro che ne ho tratto.
E' stato bello rivedere così tanti praticanti e un clima così intenso ed entusiasta, perchè ha sfatato la mia preoccupazione di una progressiva scomparsa del "gruppo Fujimoto" e con esso di quello splendido sapere.
Concludo dicendo che il mio auspicio è che tutto ciò vada avanti, e che tensioni personalistiche e protagonismi non minino questo magnifico patrimonio dell'aikido italiano e mondiale.
Il Maestro non c'è più, ma il suo incredibile lavoro, maturato in particolare negli ultimi due anni, quelli che hanno seguito la tremenda diagnosi e la altrettanto fatale conclusione, hanno dato i frutti sperati, e sembrano indurre tranquillità.
Ci manca tantissimo, ma il suo aikido è vivo e vitale.
A presto.