sabato 8 dicembre 2012

L'importanza di studiare.

Diceva continuamente il Maestro Fujimoto che praticare, in particolare in occasione degli stage ma non solo, era anzitutto studiare.
Studiare richiama un concetto di estrema attenzione, concentrazione su ciò che ci viene mostrato e ciò che facciamo nel tentativo di riprodurlo, e collide con la frenesia, la superficialtà, la distrazione.
Ho allievi di varia natura, e di quasi ognuno di essi potrei dire che presenta uno (o più) dei difetti in questione.
Qualcuno difatti è frenetico, e pensa che, versandosi in un contesto marziale, si debba necessaraimente e immediatamente impiegare molta forza e velocità di esecuzione.
Anche se non hanno compreso affatto ciò che è stato loro proposto, la prima se non unica preoccupazione è quella di tirare con ardore e rapidità.
Ricordo sempre in proposito alcune scenette piuttosto spassose, durante gli stage, nelle quali il Maestro rimbrottava alcuni entusiasti applicatori della pratica frenetica, dicendo loro che non stavano facendo quello che era stato illustrato, e ciò senza che quelli neppure se ne rendessero conto.
Ricordo in particolare il rimbrotto che rivolgeva ad un peraltro bravo istruttore, al quale si rivolgeva dicendo che in trent'anni e passa non era affatto cambiato, affermazione questa alla quale seguiva una frase di compiacimento dell'istruttore in questione, che ringraziava per quella che riteneva essere una lode, e che veniva subito ripreso da Fujimoto al grido di "Non è un complimento!".
Se il Maestro diceva che non eri affatto cambiato, difatti, voleva rimproverarti.
Intendeva dire che non eri cresciuto, e pensavi che tirando forte e deciso avresti mantenuto la bravura giovanile.
Non è così, evidentemente, perchè studiare, appunto, vuol dire evolversi, progredire tecnicamente.
Altri allievi sono un pò superficiali.
Vengono, magari si applicano sul tatami, ma poi tendono una volta scesi dal tappeto e terminato l'allenamento, ecco che non parlano più di quanto fatto, sospendono completamente l'attenzione verso l'aikido e quanto hanno fatto, "riattivando" la loro pratica soltanto all'allenamento successivo.
Questo potrebbe andare bene ove ci allenassimo, non so, tutti i giorni per diverse ore.
Allora, in quel caso, sarebbe perfettamente comprensibile "staccare", ma evidentemente non è così.
Gli allenamenti, anche praticando con costanza, sono per la maggior parte di noi pochi, al massimo quattro ore ogni due giorni, o giù di lì.
Di conseguenza, per imparare davvero, occorre rimanere concentrati su quello che si è fatto, allenarsi mentalmente e per almeno lo stesso numero di ore.
Diceva spesso il Maestro, d'altronde, che prima di riuscire a fare la tecnica sul tatami occorre riuscire ad immaginarla.
Infine, qualche allievo è distratto.
Tende addirittura sul tappeto a osservare senza attenzione e concentrazione.
Qualche volta guarda altrove, qualcuno sbadiglia anche.
Fujimoto lo avrebbe strozzato, o per lo meno allontanato immediatamente dal tatami, e forse mai più riammesso.
Naturalmente io non lo faccio, non sono un maestro, ed è bene non scimmiottare.
Tuttavia, e fermo restando che la cosa mi spinge ad impegnarmi di più per catturare quella fuggevole attenzione, mi chiedo se non ci sia anche in questo un approccio alla disciplina, e all'apprendimento in genere, molto passeggero, quasi che la logica della pratica sia "solo divertirsi".
Studiare, e solo con attenzione, permette di fare un buon aikido.
Solo se si fa un buon aikido, a mio giudizio, è possibile divertirsi davvero.
La soddisfazione profonda che può dare progredire rende, a mio giudizio, sempre nuova e stimolante la pratica.
Dove c'è arresto nella evoluzione, stagnazione, lì c'è l'inizio della fine.
Se non si progredisce più, ecco che ci si annoia.
Si abbandona, oppure ci si dedica ad altro, illudendosi di continuare a fare aikido.
Rimango sempre perplesso di fronte ai mirabolanti curricola di alcuni insegnanti, che sembrano eccellere nell'aikido, nello shodo, nello iaido, nel jo do, nel kenjitsu, nel tantra yoga, nella biodanza e chi più ne ha...
Loro non lo sanno, ma già non praticano più aikido.
Non so se lo hanno capito i loro allievi.
Dunque, studiamo, e se ci accorgiamo di cominciare ad annoiarci, allora studiamo di più.
E' l'unico modo per continuare a divertirsi.
Altrimenti, avrebbe detto Fujimoto, andate in piscina.