domenica 26 maggio 2013

Il terrore della spersonalizzazione nella pratica

Ho partecipato a Bari, l'11 ed il 12 maggio scorsi, ad uno stage organizzato dal waka ki dojo di Mimmo Casale, tenuto da Daniele Montenegro.
Al raduno, finalmente e dopo molto tempo, è intervenuto un apprezzabile numero di persone e provenienti, fatto questo ancora più importante, da dojo diversi, sia pure della zona.
E' stato bello lo stage?
Per me, è stato bellissimo, e questo è prevedibile vista la mia sincera ammirazione e il profondo interesse che ho per il lavoro svolto da quell'istruttore, del quale ho già detto e continuerò a dire.
Stando ai commenti raccolti, comunque, sembravano tutti molto soddisfatti, e anche da quelli che alla vigilia parevano maggiormente scettici sono arrivati soltanto approvazione e spesso entusiasmo per quella impostazione didattica e quell'approccio nella esecuzione delle tecniche.
Cosa ha fatto Montenegro per piacerci così tanto, è presto detto.
Ha sostanzialmente riprodotto, con dovizia di particolari, quello che aveva visto fare dal suo Maestro, Fujimoto shihan.
Lo ha fatto, e lo fa sempre, appunto in maniera molto fedele, non inventando nulla, in un'ottica di perpetuazione pedissequa, e il più possibile autentica, dell'insegnamento al quale ha assistito, con invidiabile vicinanza, per oltre dieci anni, mattina e sera.
In sostanza, può pacificamente dirsi che copia.
Anche io copio, quando insegno e quando pratico, ma lo faccio meno bene di Montenegro.
Ho spesso avvertito, anche in qualche colloquio che ho avuto con altri praticanti, diffidenza rispetto a questo approccio, quasi che, così facendo, si finisse per limitarsi a scimmiottare il Maestro di riferimento, o peggio perdere l'anima.
Recentemente ho anche letto sul blog del dojo di Lauria uno scritto piuttosto polemico con il quale viene stroncato questo metodo, definito, in ultima analisi, una sorta di ripetizione piuttosto idiota se non ridicola degli insegnamenti ricevuti.
Si diventa talmente ridicoli, continua quella riflessione, che si inizia a parlare una specie di giappaliano privo di alcuna ragione.
Io non conosco bene il mondo della musica classica, ma se devo pensare a qualcosa di artisticamente perfetto e al contempo al quale si accede attraverso uno studio rigorosissimo e di eccezionale dedizione, quel mondo mi viene subito in mente.
Il pianista classico, credo, spende gran parte della propria giornata ad esercitarsi, a tentare di svolgere sempre meglio, in un'ottica di miglioramento continuo, esercizi complicatissimi, difficilissimi, ardui.
Esegue pedissequamente quello che gli viene mostrato, e immagino che, per anni ed anni, nessuno si ponga il problema di dare personalità alla esecuzione, e renderla differente da quella di chi la sta insegnando.
Tanto meno, penso, si tenti di insegnare la composizione musicale.
Non ho mai sentito parlare di scuole di composizione, credo che non ne esistano nè ne siano mai esistite.
In sostanza, ancora immagino, una persona (generalmente giovanissima), viene inquadrata nel sapere pianistico attraverso un insegnante che propone esercizi che sono uguali ovunque, che si tramandano, e che si pretende che l'allievo riproduca così come gli sono stati proposti.
L'insegnante, in linea di massima, non inventa nulla.
L'allievo, in linea di massima, non inventa nulla.
I brani che verranno eseguiti, in linea di massima, sono creati da una strettissima minoranza di individui.
I grandi pianisti sono compositori?
Raramente, se non rarissimamente.
Cosa si chiede ad un grande pianista?
Gli si chiede di riprodurre brani altrui.
Gli si chiede di riprodurre quei brani in maniera perfetta, senza alcuna imperfezione, con leggiadria, eleganza, ma senza sbavature e soprattutto, senza alcuna aggiunta, interpolazione, mutilazione.
Il grande pianista, poi, si contorce nella esecuzione, assume espressioni che probabilmente ha visto fare da altri, ma ai concerti non gli ridono dietro, e non lo considerano una scimmia.
E torniamo all'aikido.
In questo mondo, chissà perchè, pensiamo tutti di essere Mozart, Beethoven, Chopin.
Non ci basta essere degli esecutori.
Pensiamo spesso di dovere creare.
E che diamine, non siamo mica degli orangutang!
A me, devo confessarlo, basterebbe imitare quell'immenso Maestro, e farlo decentemente bene anche solo in  parte.
Personalmente, sia chiaro, non mi interessa inventare qualcosa, perchè molto probabilmente non sono in grado di farlo, bensì tramandare quel sapere, tentare di farlo vivere oltre il suo creatore e, naturalmente, oltre me.
Sarà perchè non valgo poi molto.
Avverto i naviganti, però, che non vedo tanti Beethoven o Chopin in giro.
Forse sarebbe il caso dotarsi di un pò di senso del ridicolo, prima di pensare a quanto sono ridicoli gli altri.
Scimmiottare il Maestro, difatti, non è fargli il verso nel momento in cui si spiega, perchè quella è una semplice immedesimazione, simile per certi versi a quella del pianista che fa le mosse nel suonare che ha visto eseguire ad altri.
Scimmiottare è ben altro.
Il mio auspicio, pena la certa scomparsa dell'aikido come sistema organizzato e compiuto di sapere, è che ciascuno di noi si prefigga, anzitutto, di fare e riprodurre bene quello che gli viene insegnato.
Quando si diventa insegnanti, trasmettere quel sapere nella maniera più fedele possibile, lasciando a pochi il compito di creare, perchè non tutti ne siamo all'altezza.
Per quanto mi riguarda, continuerò a seguire con entusiasmo chi trasmette le conoscenze del Maestro del cui lavoro mi sono innamorato in maniera corretta e che ha l'umiltà di non volere inventare nulla, a costo di sentirsi dire che è solo una scimmietta.
Lasciando a chi è geniale il compito di aprire nuove frontiere del sapere aikidoistico.
E a chi crede di esserlo quello di autoproclamarsi tale.
Buon lavoro a tutti.