Un bravo e promettente studente, improvvisamente, mi ha chiesto un pò a bruciapelo, qualche sera fa, cosa fosse per me il Ki. Un mio antico compagno di allenamento, forse la stessa sera, ha spiegato ai ragazzi che O sensei, nel creare la disciplina come la conosciamo, aveva "appreso il ki" da Takeda.
Più in generale, concetti come armonia, ki, o armonizzare il ki, sono evidentemente assai ricorrenti nel nostro ambito, e costituiscono il fulcro stesso, inevitabilmente, della nostra pratica.
Su questi aspetti ho già scritto in passato, cosicchè mi si perdoni una certa ripetitività, ma sento di doverci tornare a beneficio di chi frequenta il mio corso, al quale queste brevi riflessioni sono dirette, considerato che, in palestra, è meglio praticare che elucubrare, e spesso può non esserci molto tempo per questo tipo di "approfondimenti".
E allora, cerco di spiegare, per quanto ho capito, naturalmente, cosa sono "ki" ed "aiki".
Per cominciare, come è noto, ki viene tradotto solitamente con "energia".
E' evidente che l'energia cui si fa riferimento non è quella che appartiene al sapere tecnico scientifico, ed alla fisica, ma ha una connotazione spiccatamente "letteraria", ed è davvero di difficile definizione.
Potrebbe corrispondere al concetto di "soffio vitale", di "ciò che muove le cose", o "natura", o altre nozioni egualmente generiche e indeterminate, ma la verità è che può volere dire un pò tutto e il contrario di tutto, e che è un termine impiegabile assai promiscuamente e tutte le volte in cui si vuole indicare, appunto, in qualche modo vitalità.
In ambito marziale il ki allude generalmente alla forza, intesa però non come forza muscolare, ma piuttosto come stato mentale in grado di generare, in chi lo possegga o lo domini, una straordinaria efficacia nel combattimento e nella messa in atto delle tecniche.
Per quanto mi riguarda, credo che il ki sia fondamentalmente uno stato mentale di serena, lucida e cosciente determinazione, che ove posseduta permette di ottenere il meglio dalle capacità che si hanno.
Per esempio, tutti camminiamo tranquillamente e quotidianamente su un marciapiede non più largo di un metro, o anche in corridoi molto più stretti. Se tuttavia ci trovassimo su un marciapiede o un corridoio posto su uno strapiombo alto, non so, cinquecento metri, e anche ove non ci fosse vento o altro ostacolo, probabilmente non riusciremmo a fare un solo passo, perchè saremmo paralizzati dalla paura.
Ecco, a mio giudizio questo esempio ci permette di comprendere esattamente cos'è il ki.
Se il nostro ki è forte, allora saremo in grado di camminare su quello strapiombo perchè sappiamo farlo, ne conosciamo la tecnica, non c'è alcun impedimento fisico o appunto tecnico che di per sè ce lo impedisca. In caso contrario, sebbene perfettamente in grado di fare quei gesti, non saremo mai in grado di fare un passo, perchè la paura ci tormenterà, oscurerà la nostra vista, e ci impedirà di mettere a frutto quel nostro sapere.
Storicamente nelle arti marziali il concetto è stato pertanto e da sempre ritenuto molto importante, perchè l'esperienza del combattimento, dello scontro, della aggressione, costituiscono un terreno di elezione, per così dire, di questo tipo di delusioni, della paura che ci impedisce di reagire sebbene tecnicamente in grado di farlo.
Per giungere a questo risultato è generalmente necessario molto tempo, molta dedizione, molto molto allenamento.
E' indispensabile, evidentemente, padroneggiare perfettamente la tecnica, perchè questo ci permette di sentirci sicuri e non farci paralizzare.
Se non so come camminare, per quanto coraggioso e audace io possa volere essere, non potrò percorrere neppure un metro.
Allo stesso tempo, occorrerebbe allenare "lo spirito", e prepararci anche mentalmente al momento in cui quel sapere debba essere messo in atto, tentando di sviluppare una "filosofia" di vita che ci permetta di avere quello stato mentale nell'attimo in cui ci servirà.
E' spesso l'aspetto più problematico.
L'aiki è generalmente tradotto con armonizzare il ki, ed è anch'esso un concetto a mio giudizio a più significati.
Nella visione del daito ryu, aiki voleva indicare semplicemente una strategia di combattimento, una "tecnica" di soppressione dell'avversario, basata sulla non opposizione della propria forza a quella del nemico, e sulla necessità di convogliare l'energia prodotta dall'attacco in modo da dominarla e ritorcerla disastrosamente su quello.
Nella visione di O sensei, aiki assunse un significato assai più ampio, in parte ancora inteso come tecnica e strategia di respingimento dell'attacco avversario, ma in massima parte divenne ed è ancora concetto connotato da una fortissima tensione etica, e da un deciso messaggio di non cedere alla violenza, perchè questa "rompe" l'armonia naturale, e ricondurre ad unità ed equilibrio ciò che invece l'aggressione ha compromesso.
Un praticante di daito mette in atto l'aiki ma non attribuisce ad esso alcuna valenza etica. L'aiki gli serve per distruggere un nemico, e recargli il maggior danno possibile con il minor rischio.
L'aikidoista applica l'aiki, invece, tentando di non nuocere (o farlo meno possibile) alla incolumità di chi aggredisce, e la tecnica mira a convogliare l'aggressione fino ad esaurirne la violenza distruttiva senza che da tanto derivino danni irreparabili.
L'aikido è dunque un percorso che aspira ad armonizzare il ki non solo in termini di strategia di combattimento, ma, questa l'idea che muove la disciplina, a rendere il praticante una persona equilibrata, mite, serena, che si correla agli altri e a tutto ciò che lo circonda, appunto, in armonia.
Concetti altissimi, di difficile applicazione.
Tentare, tuttavia, non soltanto non nuoce, ma è straordinariamente "divertente".
Perchè vuol dire allenarsi, praticare.
Buon keiko a tutti.
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