Nell'ultima intervista rilasciata (che mi risulti, almeno), ossia quella resa in occasione del quarantennale di una organizzazione aikidoistica svizzera, la intervistatrice in un italiano un pò incerto chiese al Maestro Fujimoto cosa rendesse diverso l'aikido dalle altre arti marziali.
Il Maestro non parlò di amore universale e unione con l'universo, che pure sono importanti, diciamo così, ma rispose che ciò che rendeva diverso l'aikido era il ruolo di uke, figura questa in effetti semi sconosciuta ad altre discipline.
O meglio, disse che nell'aikido ci si alterna, continuamente, nei ruoli di uke e tori.
Alternandosi, si determinano molte conseguenze, pratiche e morali.
Fondamentalmente, ci si affida all'altro ripetutamente, e l'altro si affida a noi.
Si lavora insieme.
Si deve collaborare.
Uke "deve accettare", altra frase assai frequente nella didattica del Maestro.
Deve dare tutto se stesso nel far fronte ad una iniziativa altrui nella quale è, in qualche misura, alla mercè dell'altro.
Deve tenere, deve rialzarsi se è caduto, ma deve anche evitare di essere troppo veloce e frenetico, perchè tori deve potere provare, eventualmente sbagliare, e provare ancora.
Insomma, un lavoraccio.
I buoni uke, diceva continuamente Fujimoto, diventano di solito dei grandi aikidoisti.
Chi non si dà nel ruolo di uke, generalmente non fa molta strada.
Però c'è anche tori.
Tori, di solito ammoniva il Maestro, deve essere "gentile".
Strano concetto, in un'arte marziale.
Come gentile? Ma non stiamo facendo a botte, in fin dei conti?
Tori deve essere gentile, perchè uke si affida a lui.
Una persona si sta consegnando mani e piedi a me, prestandomi le sue articolazioni, i suoi muscoli, le sue giunture per permettermi di provare e riprovare.
Per dirla con il Maestro Tada, è il pennello del pittore, il violino del musicista.
Devo trattarla con riguardo, con attenzione.
Devo metterla a proprio agio, perchè non si spaventi, non abbia paura, vinca l'istinto che le dice di ritrarsi, difendersi, sottrarsi alla mia azione.
Non vuol dire, attenzione, praticare senza dinamismo, energia, vigore.
Al contrario, devo impiegare tutto questo ma stando sempre attento che uke sia protetto, che nulla di sgradevole gli accada.
Non si tratta di debolezza, tutt'altro.
La gentilezza è forza, controllo, sicurezza di sè.
Deve essere gentile soprattutto chi è esperto, perchè deve avere sviluppato la tecnica che gli permette di controllare anche la inadeguatezza altrui.
Non ripagate, diceva ancora il Maestro, un compagno frenetico con la stessa frenesia, uno aggressivo con maggiore aggressività, uno rigido con ancora maggiore rigidità.
Magari non riesce bene. Magari lo hanno picchiato dal primo giorno in cui è arrivato nel dojo e lui pensa che si debba fare così.
Abbiate pazienza, migliorerà se avrete pazienza anche voi.
Non cadete nel demone della rabbia, perchè altrimenti non c'è aikido.
Siate gentili.
Forti e gentili, come era il Maestro.
Buon allenamento.
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