Ci si può svegliare la mattina dopo uno stage pieni di doloretti più o meno "invalidanti", e con la fortissima sensazione non solo che ne sia valsa la pena, ma che quei dolori siano la prova tangibile di avere fatto il dovuto, il necessario, ciò che va fatto per progredire e crescere di livello.
Io li capisco, i pigri.
Venire a fare stage come quello condotto dal Maestro Foglietta non è come andare a fare una passeggiata in bicicletta in giro per la città, o una scampagnata per prati.
Devi sudare, sopportare fatica, porre attenzione.
No, troppo stressante per molti.
Tuttavia, mi chiedo sempre in questi casi cosa ci si aspetti di avere da una pratica comoda, da pancia piena, o se vogliamo da approccio rilassato.
Scelgo di fare aikido perchè voglio rilassarmi?
Ma allora, benedetti figliuoli, non sarebbe molto meglio dedicarsi, chessò, alla pittur creativa, o prenotare una seduta di massaggi?
Mi fa sempre specie prendere atto come i più filosofeggianti tra i praticanti siano puntualmente i più pelandroni.
Praticano aikido per raggiongere improbabili illuminazioni, ma pretendono di arrivarci senza sudare.
Tutta questa tecnica e questa fisicità...
Ma non siamo mica atleti, si dicono...
O peggio, sportivi!
Siamo artisti marziali, cerchiamo l'assoluto.
Io dico, miei cari artisti, che dietro le illuminazioni ci sono grandi fatiche, mentali e fisiche.
Sarebbe opportuno dismettere i panni degli aspiranti saggi, perchè non è cosa per la maggior parte di noi, e divenire per lo meno dei discreti praticanti.
Detto questo, agli stage ci si diverte.
Soprattutto se si suda e si fa fatica.
Altrimenti a che serve?
Altrimenti è meglio fare una scampagnata.
Oppure un picnic.
Veniamo anche io e Foglietta.
Un saluto e buona pratica.
Nessun commento:
Posta un commento