Chiunque si avvicini allo studio delle discipline di origine marziale, soprattutto se filtrate alla luce dell'esperienza giapponese, viene a contatto con la figura del sensei.
Più in generale, entra in un mondo che assegna a questa figura, quella dell'insegnante, un ruolo piuttosto anomalo per la sensibilità occidentale, almeno quella contemporanea.
Al sensei, difatti, quale detentore del sapere e strumento di trasmissione della conoscenza, si deve rispetto ma anche in qualche misura devozione.
Si tratta di un evidente portato della cultura cinese e confuciana in particolare, che il Giappone ha recepito con zelo e arricchito, come sempre, di propri spunti e letture originali.
Sensei, letteralmente, vuol dire "nato prima", dunque anziano, ma anche professore, o prete.
Vi sono alcune espressioni, facili ad ascoltarsi nel parlato nipponico, che rendono plasticamente questo aspetto.
Lo studente dice, ad esempio, "sensei ga osshaemashita", ovverosia "Il Maestro ha detto questo", il che in qualche modo chiude la discussione, è un argomento di pura autorità, che indica che la nostra guida, un sapiente, si è espresso, e tanto tendenzialmente, è sufficiente.
Oppure, si dice "sensei ni o makase shimashita", ovverosia "ho lasciato che giudicasse, che decidesse per me il mio Maestro".
Il verbo "makaseru", difatti, indica una fidarsi pieno e incondizionato del giudizio e delle valutazioni di qualcun altro.
Il rischio, in tale tipo di atteggiamento, è evidentemente quello di una sorta di cieca dedizione dell'allievo all'insegnante, che annulla qualsiasi spirito critico nel primo, rendendolo un entusiasta e aprioristico seguace di un altro individuo al quale ha giurato ossequio, piuttosto che chiedergli di formarlo e renderlo adulto, con tutte le conseguenze deleterie che ciò comporta.
D'altro canto, un correlativo rischio incombe sullo stesso sensei, portato a percepirsi come infallibile, adorato, e ad innamorarsi del suo status di guida incondizionata, e dunque ad insuperbirsi disastrosamente.
Eppure, il ruolo del sensei e lo stesso concetto di makaseru non sono da rifiutarsi in blocco, ma piuttosto da vivere con buon senso e intelligenza.
Occorre evitare gli aspetti deleteri di un rapporto di assoggettamento, sempre negativo, e intendere invece in maniera sana i termini del rapporto "studente-insegnante".
Il primo, appunto, deve fidarsi, o se preferite affidarsi, ma senza rinunciare ad un vaglio sanamente critico sul lavoro e sulla condotta della sua guida, senza rinunciare a pensare.
Difficile capire dove finisce un positivo e necessario affidamento e comincia la devozione acritica.
Ogni tanto, consiglierei, frequentate altri insegnanti.
Cambiate ambiente, o comunque non isolatevi.
Verificate che ciò che il sensei dice a voi di fare sia ciò che egli stesso fa.
Siate severi di fronte ad un istruttore autoritario e prepotente, accettando tuttavia un piglio deciso e il rimprovero, perchè fanno parte del rapporto docente-discente.
D'altro canto, non mettete sempre tutto in discussione.
Seguite ciò che il sensei vi chiede di fare, perchè altrimenti è impossibile trasmettere e apprendere conoscenza.
L'insegnante, poi, stia attento, anzi attentissimo, a non cadere vittima dei demoni dell'appagamento, della superbia, dell'autoritarismo.
Non innamorarsi di sè, non rendersi ridicolo scimmiottando il grande Maestro giapponese che appartiene ad un'altra cultura e sensibilità, ed è portatore di una sapienza antica e tendenzialmente irriproducibile.
Difficile fare quadrare il cerchio.
Ci vuole, appunto, buon senso, intelligenza.
Occorre, in ultima analisi, non distrarsi dallo studio della disciplina, perchè chi studia l'aikido con amore e con devozione non ha tempo di dedicarsi o dedicare tempo e risorse al culto della propria o altrui personalità.
Deve pensare alle cose serie, a imparare.
Buon allenamento a tutti.
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