L'aikido è, a mio giudizio senza alcun dubbio, una delle discipline nelle quali la applicazione delle tecniche lascia i maggiori margini di creatività all'esecutore.
Si tratta di un aspetto che ritengo bellissimo e che rende sotto molti aspetti unica la disciplina.
E tuttavia, si corre il rischio di cadere in una sorta di relativismo estremo, ossia in una filosofia del "va bene tutto" che rende difficile distinguere cosa è giusto da cosa è sbagliato, la personale visione di una tecnica pure corretta da quella che è semplicemente una cattiva esecuzione.
Come regolarsi, dunque, e discernere la personalità nella interpretazione dal vero e proprio errore?
La mia opinione è che questo possa avvenire se si ha ben presente quali sono i cardini marziali della tecnica aikidoistica, in altre parole se si riesce ad avere chiare le attitudini di combattimento e difesa dalle quali il waza non può prescindere se non al prezzo di decadere al rango di semplice esercizio ginnico o coreografico.
Diceva molto giustamente un grandissimo maestro, Gozo Shioda, che "accade a tutti di pensare: come eseguire questa tecnica? Come eseguire quella tecnica?; ma ciò che bisogna ricordare è che sebbene vi siano molte tecniche, dovete afferrare i principi alla base di esse. Ne deriva che dovete rapidamente spostare il vostro equilibrio, muovendo mani, piedi e fianchi come una cosa sola. Il principio che permea tutte le tecniche è il medesimo, ad esempio la stabilità del corpo, lo spostamento dell'equilibrio, il guidare l'energia, e così via. Una volta afferrati completamente questi principi, sarà naturale per voi perdere interesse per i dettagli particolari delle singole tenciche. Ciò vuol dire che, invece di pensare: farò questo, farò quello, arriverete ad un livello in cui, avendo afferrato i principi, sarà il vostro corpo a muoversi da solo secondo tali principi".
Dunque possiamo dire che esistano appunto alcuni principi di base, e che una tecnica è corretta quando, pure nella diversità dei modi di interpretarla, rispetta e soddisfa questi canoni di riferimento.
Per esempio, di fronte all'attacco, è certamente sbagliato non deviare la linea di esso, e non porsi alle spalle dell'aggressore.
Come farlo, naturalmente, è qualcosa che può ricevere molte soluzioni.
Ad esempio, qualcuno potrebbe agire sul corpo di uke, mettendolo in leva e provocandone lo spostamento, mentre altri possono scegliere di spostare il loro corpo mandando uke a vuoto.
Tuttavia, una tecnica che venisse eseguita senza porsi nel "punto morto" (shikaku) dell'avversario sarebbe certamente sbagliata, appunto perchè avrebbe smarrito la sua attitudine marziale.
Gli esempi potrebbero essere molti altri.
Così, ancora, occorre generalmente fare in modo che il corpo sia sempre ben bilanciato, e dunque tentare di assicurarsi sempre un perfetto equilibrio facendo sì che allo spostamento di un braccio faccia riscontro un correlativo spostamento del piede in modo da non perdere il baricentro giusto.
Occorre, inoltre, evitare di aprire le ascelle, perchè altrimenti finiremmo per indebolire la nostra capacità di urto e di resistenza alle spinte e controspinte di uke.
Voglio dire, in conclusione, che non tutto è consentito, e che la libertà dei modi di esprimersi non va confusa con una sorta di licenza poetica in forza della quale ognuno fa come più gli aggrada.
Nell'aikido, per scelta del Fondatore alla quale noi tutti abbiamo aderito, non si combatte, e pertanto la verifica della corretta esecuzione non passa per il confronto in un duello.
E' indispensabile, allora, una forte autodisciplina, e volontà di non discostarsi dai principi marziali di base di cui parlava il maestro Shioda.
E' altresì necessario, per gli insegnanti, studiare sempre e bene, avere una profonda comprensione delle dinamiche che la tecnica va a ricreare, non stancarsi mai di limare e perfezionare la propria esecuzione, perchè è questa la condizione imprescindibile affinchè si possano afferrare le linee guida e trasmettere un sapere davvero maturo e reale, che divenga patrimonio comune del dojo e possa sopravvivere al tempo e alla inevitabile "temporaneità" della nostra presenza.
Gli insegnanti valorosi non solo quelli che eseguono complicatissime tecniche artificiose e spettacolari, o cianciano di energie cosmiche e illuminazioni, ma quelli che posseggono e trasmettono correttamente i principi e le tecniche di base attraverso un serio e quotidiano lavoro di autoperfezionamento.
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