L'Aikikai d'Italia

sabato 29 settembre 2012

Aikido: di che si tratta.

Il primo post di questo blog consisteva semplicemente in un brano tratto da Wikipedia, scaricato per me da un amico, e che si intitolava "Cos'è l'Aikido".
Nel corso di questi (quasi) due anni, sono successe tantissime cose, e tra queste la perdita di un magnifico e incomparabile Maestro.
Credo di avere più volte parlato di cosa sia, a mio giudizio, l'aikido, ma vorrei cimentarmi in una spiegazione in qualche modo didattica, che mi rendo conto risulterà stucchevole ai più, ma che periosicamente è bene effettuare.
D'altro canto, la prima domanda che viene rivolta da chiunque si avvicini alla disciplina, magari venendo a scrutare una lezione, è sempre la stessa, ossia di che si tratti.
Aikido, allora, si compone di tre ideogrammi.
"Ai" è una contrazione del verbo awasu, e indica coordinamento, armonizzazione, equilibrio.
"Ki" è termine generalmente tradotto con energia, ma che può volere dire moltissime cose, costituendo una tipica espressione delle lingue orientali del periodo pre tecnologico, caratterizzate da una certa tendenza all'immaginifico e all'evocativo.
Ki allora potrebbe indicare ciò che è vitale, ma non necessariamente, poichè potrebbe dirsi anche che un luogo, anche se del tutto inanimato perchè composto ad esempio di sole rocce, "ha un suo ki".
In ambito aikidoistico e marziale, ki indica fondamentalmente una predisposizione di spirito, e uno stato mentale che permette a chi ne sia dotato di affrontare la vita e la eventuale morte (non necessariamente in battaglia) con coraggio, dignità, serenità.
Infine "do" sta a significare cammino di vita, percorso personale, o per antonomasia l'insegnamento che permette di compiere quel cammino.
Aikido allora potrebbe tradursi in molti modi, posto che non esistono interpretazioni autentiche fornite dal Fondatore.
Diciamo che può intendersi come la disciplina (intesa come complesso di conoscenze codificate e sistemate) marziale (e dunque fondata su tecniche di combattimento) che si propone di sviluppare nel praticante uno stato interiore che lo mantenga in armonia con sè e con ciò che lo circonda.
Come è possibile armonizzarsi con qualcuno che ci attacca con l'intento di sopraffarci?
La soluzione fornita dal Fondatore è quella di mettere a punto e applicare tecniche di pura neutralizzazione dell'attacco che ci viene rivolto, la cui finalità sia quella di respingere l'aggressione recando all'altro minore danno possibile.
Se l'intento tradizionale della tecnica di combattimento è quella di recare il maggior danno possibile nel minor tempo, l'aikido capovolge completamente l'approccio, prodigandosi per conseguire il risultato opposto.
Gli esercizi aikidoistici, allora, costituiscono il tentativo di realizzare questo ambiziosissimo fine, che è espresso dalla nota formula "impedire di ferire senza ferire".
Dunqe ai calci, pugni, gomitate o strangolamenti, l'aikidosista sostiutisce leve, sbilanciamenti, bloccaggi, mantenendo tuttavia le stesse evasioni dall'attacco proprie delle arti marziali tradizionali e con il fine di creare sempre quella situazione di vantaggio rispetto all'aggressore che è condizione perchè l'attacco possa essere neutralizzato.
L'aikido, allora, è pratica in questo senso autenticamente marziale, e come tale va fatta.
La situazione di armonia, infatti, non è frutto di un accordo che precede il contatto, ma è l'esito di una corretta applicazione della tecnica.
Se si smarrisce questo presupposto, l'aikido diventa una sorta di ginnastica che scimmiotta malamente altre attività.
Una specie di bio danza, o qualcosa del genere.
Uke e tori diventano due individui che tentano di realizzare una coreografia predeterminata, di nessuna efficacia difensiva, e inevitabilmente disattenta alle ragioni che generano quei movimenti, dei quali non si è in grado di ricostruire l'origine.
Questo fa sì che se qualcuno ci afferra, e lo fa con vigore, non si sia in grado di liberarsi.
Se qualcuno sferra un attacco non si sia in grado di sfuggirgli.
In quei casi, di fronte alla incapacità di mettere in atto una tecnica, si invoca la acquiescenza dell'altro, generalmente condendo la bizzarra richiesta di "resa" con tutto lo stupidario pseudo spiritualista proprio di alcune sottoculture religiose.
E' assai frequente sentirsi dire da un allampanato istruttore che non sa come liberare il suo polso da una presa energica che "non si deve combattere", o che "l'aikido è amore".
Nell'aikido non si combatte, e questo è assolutamente ovvio, perchè combattere è tutta un'altra cosa dalla pratica di due compagni di allenamento nel dojo.
L'aikido è amore perchè, come ho detto, si propone di realizzare lo straordinario risultato di neutralizzare l'attacco dell'altro, che è un attacco mosso con intento di ferire o uccidere, senza ricambiare quella volontà distruttiva con analoga distruzione.
Tuttavia bisogna saperlo fare. Altrimenti è un'altra cosa.
Occorre assolutamente evitare di trasformare la pratica in una religione un pò fricchettona, e i presupposti etici della disciplina in qualcosa che la stravolga malamente.
Sono scuse per non lavorare seriamente, e degenerazioni biasimevoli e pericolose verso forme di ginnastica spiritualistica che sono lontane anni luce dalle intenzioni del Fondatore e dalla vera cultura giapponese.
A presto.
Buon allenamento.

Nessun commento:

Posta un commento