E così, è successo.
Non c'è più.
Ero certo che quando non avesse più potuto praticare, sarebbe finito tutto, e dunque non sono stupito.
Adesso non ho molto da dire, ho la gola serrata, e poi non mi è mai capitato di scrivere un necrologio.
Al momento ho solo voglia di ringraziarlo, per tutto ciò che mi ha dato.
Per la sua incredibile sapienza, umanità, amore per l'aikido.
Per i sorrisi che accoglievano chi veniva da lontano per seguirlo, e le sue domande curiose, su come andavano le cose al dojo, e a Foggia in genere.
Ma una volta parlammo anche di politica giapponese...
Gli devo, ritengo, tutto.
Diceva spesso che i suoi allievi avevano preso i suoi difetti, e gliene dispiaceva.
Voglio credere che con me non sia successo.
Sono certo di avere visto tutti, davvero tutti i suoi pregi.
Sono cresciuto in questi anni come uomo, e come aikidoista, sotto la guida attenta, e amorevole, di quello che è, a mio giudizio, il più grande di tutti i tempi.
Addio Maestro.
Per sempre riconoscente,
"Foggia".
L'Aikikai d'Italia
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lunedì 20 febbraio 2012
sabato 11 febbraio 2012
Aikido come percorso di vita
Qualche anno fa partecipai ad uno stage a Roma, organizzato da una associazione "sorella" dell'Aikikai, la Aiko, diretto dai maestri Tamura e Yamada.
Tamura l'ho poi rivisto in una sola altra occasione, l'anno successivo.
Era già vecchio e malato, e così il suo aikido era ovviamente quello di un anziano, inevitabilmente molto statico e in gran parte imperniato sull'esperienza acquisita piuttosto che sul dinamismo.
Ricordo dunque soprattutto di questo grande shihan (scomparso l'estate scorsa) una spropositata gentilezza, un sorriso pieno di disponibilità e amore per la vita, e qualche frase che mi colpì moltissimo.
Nulla di straordinario, a pensarci, ma l'effetto fascinatorio era proprio nel sentire pronunciare quelle parole da un uomo che era consapevole di essere ormai prossimo alla fine della sua vita, dopo settant'anni passati sui tatami di mezzo mondo.
Un uomo che aveva praticato sotto la guida di O sensei, era stato giovane e forte, aveva lasciato il suo paese per diffondere l'aikido, aveva realizzato quell'obiettivo, era invecchiato insegnando aikido, e ora si accingeva ad abbandonare tutto.
Sorrideva spesso, e quando parlava diceva cose semplici e tuttavia profondissime.
Erano piccole frasi, frammenti di vita che avevano tutto il fascino di una esperienza antica e profondissima.
Comunque, quello che mi fece molta impressione fu quello che disse ad un certo punto, nella pausa tra una tecnica e un'altra.
Tamura sensei disse che i praticanti di aikido, lui disse qualcosa come "noi praticanti", appena arrivano in una città nuova hanno come primo pensiero quello di cercare un dojo presso cui praticare, e poi aggiunse, con un bel sorriso, "e se non lo troviamo siamo molto tristi".
Ripeto, letta così non è poi molto poetica, e invece vi assicuro che lo fu, pronunciata in quel contesto e da quell'uomo.
Pensai che aveva ragione, era esattamente così.
Mi viene spesso in mente perchè provai un senso di condivisione immediato, ebbi la sensazione che la comunità degli aikidoisti esiste, e se dovessi definirla lo farei proprio così, intendendola come composta da tutti quelli che quando si recano in un posto hanno come primo pensiero dove poter praticare, e che se non lo trovano si intristiscono.
Mi viene in mente perchè, ascoltando quelle parole, dette da un grande Maestro malato, ebbi la nettissima sensazione che il suo più grande cruccio, sul punto di morire, fosse quello di non potere più praticare.
Chissà, forse è un sciocchezza, ma è quello che pensai, e mi fece enorme impressione.
Questo lo dico perchè spesso sprechiamo tempo, pensando sempre che ci saranno altre occasioni.
Quello che non ho fatto oggi lo potrò certamente fare domani.
Io credo che non sia così, e penso che dovremmo fare il possibile, sempre, per rendere irripetibile ogni momento del nostro vivere (ichi go ichi e).
Sotto il profilo aikidoistico, questo vuol dire impegnarsi sempre e in ogni occasione per migliorarsi, crescere.
Questa ricerca continua è il migliore antidoto alla noia, il migliore dei modi per sconfiggere il demone dell'appagamento.
L'aikido, per definizione, è un percorso di vita.
Questo non per dare una connotazione para religiosa alla pratica, e chi mi conosce sa che sono assolutamente alieno da queste tentazioni, come persona e insegnante.
E' tuttavia sicuramente un cammino, di autoperfezionamento continuo, incessante, inevitabilmente destinato a non trovare conclusione se non con la nostra morte.
Non si può fare seriamente fermandosi continuamente, praticando sporadicamente e in maniera distratta e svogliata.
Che ne valga la pena, ne sono certo.
Guardando gli occhi, il sorriso e le ascoltando le parole di Tamura shihan quel giorno, ne ho avuto la certezza.
A presto, e buon allenamento.
Tamura l'ho poi rivisto in una sola altra occasione, l'anno successivo.
Era già vecchio e malato, e così il suo aikido era ovviamente quello di un anziano, inevitabilmente molto statico e in gran parte imperniato sull'esperienza acquisita piuttosto che sul dinamismo.
Ricordo dunque soprattutto di questo grande shihan (scomparso l'estate scorsa) una spropositata gentilezza, un sorriso pieno di disponibilità e amore per la vita, e qualche frase che mi colpì moltissimo.
Nulla di straordinario, a pensarci, ma l'effetto fascinatorio era proprio nel sentire pronunciare quelle parole da un uomo che era consapevole di essere ormai prossimo alla fine della sua vita, dopo settant'anni passati sui tatami di mezzo mondo.
Un uomo che aveva praticato sotto la guida di O sensei, era stato giovane e forte, aveva lasciato il suo paese per diffondere l'aikido, aveva realizzato quell'obiettivo, era invecchiato insegnando aikido, e ora si accingeva ad abbandonare tutto.
Sorrideva spesso, e quando parlava diceva cose semplici e tuttavia profondissime.
Erano piccole frasi, frammenti di vita che avevano tutto il fascino di una esperienza antica e profondissima.
Comunque, quello che mi fece molta impressione fu quello che disse ad un certo punto, nella pausa tra una tecnica e un'altra.
Tamura sensei disse che i praticanti di aikido, lui disse qualcosa come "noi praticanti", appena arrivano in una città nuova hanno come primo pensiero quello di cercare un dojo presso cui praticare, e poi aggiunse, con un bel sorriso, "e se non lo troviamo siamo molto tristi".
Ripeto, letta così non è poi molto poetica, e invece vi assicuro che lo fu, pronunciata in quel contesto e da quell'uomo.
Pensai che aveva ragione, era esattamente così.
Mi viene spesso in mente perchè provai un senso di condivisione immediato, ebbi la sensazione che la comunità degli aikidoisti esiste, e se dovessi definirla lo farei proprio così, intendendola come composta da tutti quelli che quando si recano in un posto hanno come primo pensiero dove poter praticare, e che se non lo trovano si intristiscono.
Mi viene in mente perchè, ascoltando quelle parole, dette da un grande Maestro malato, ebbi la nettissima sensazione che il suo più grande cruccio, sul punto di morire, fosse quello di non potere più praticare.
Chissà, forse è un sciocchezza, ma è quello che pensai, e mi fece enorme impressione.
Questo lo dico perchè spesso sprechiamo tempo, pensando sempre che ci saranno altre occasioni.
Quello che non ho fatto oggi lo potrò certamente fare domani.
Io credo che non sia così, e penso che dovremmo fare il possibile, sempre, per rendere irripetibile ogni momento del nostro vivere (ichi go ichi e).
Sotto il profilo aikidoistico, questo vuol dire impegnarsi sempre e in ogni occasione per migliorarsi, crescere.
Questa ricerca continua è il migliore antidoto alla noia, il migliore dei modi per sconfiggere il demone dell'appagamento.
L'aikido, per definizione, è un percorso di vita.
Questo non per dare una connotazione para religiosa alla pratica, e chi mi conosce sa che sono assolutamente alieno da queste tentazioni, come persona e insegnante.
E' tuttavia sicuramente un cammino, di autoperfezionamento continuo, incessante, inevitabilmente destinato a non trovare conclusione se non con la nostra morte.
Non si può fare seriamente fermandosi continuamente, praticando sporadicamente e in maniera distratta e svogliata.
Che ne valga la pena, ne sono certo.
Guardando gli occhi, il sorriso e le ascoltando le parole di Tamura shihan quel giorno, ne ho avuto la certezza.
A presto, e buon allenamento.
venerdì 3 febbraio 2012
Il raduno con Daniele Montenegro sensei
Annunciato da segnali premonitori niente affatto incoraggianti (il blocco dei tir e l'arrivo della arcinota perturbazione siberiana), si è tenuto a Foggia, il 28 e 29 gennaio, il previsto raduno con Sensei Montenegro.
Si è trattato di uno stage, a mio giudizio, bellissimo.
L'istruttore è molto più che bravo, e la fedeltà ai principi e alle direttive dell'aikido del Maestro Fujimoto è stata impressionante.
E' perfettamente evidente e addirittura palpabile, nel seguire le movenze e la didattica di Montenegro, la straordinaria mole di informazioni che questo ragazzo di neppure trent'anni è stato in grado di acquisire nel decennio nel quale è stato uke e asssitente di Fujimoto Shihan.
Era quello che speravo che fosse, un interprete eccezionalmente credibile del pensiero aikidoistico del Maestro.
Devo confessarlo, ha per quanto mi riguarda superato ogni mia più rosea e ottimistica previsione.
Quanto al contenuto del raduno, stante la assoluta prevalenza di principianti, le lezioni hanno avuto ad oggetto, soprattutto il primo giorno, le tecniche base che costituiscono il programma di esame di sesto Kyu, eseguite tuttavia con la tipica precisione e scientificità propria del Maestro, e dunque con una attenzione impressionante ad ogni dettaglio e aspetto, dalla corretta postura del corpo alla giusta distanza, dal lavoro di te sabaki alle regole di un buon equilibrio e centralizzazione.
Nel secondo giorno la lezione è stata dedicata anche ai più avanzati, con studio di tecniche da katateryotetori e ushiroryotetori.
Ampie e articolate riflessioni e direttive sono state ovviamente dedicate all'atteggiamento di uke, sul quale chi scrive si prodiga spesso in spiegazioni nel corso delle lezioni, ma che sensei Montenegro sa rendere in maniera particolarmente efficace (te ne accorgi quando gli allievi vengono a dirti di avere compreso qualcosa che tu pensi di avere spiegato loro almeno un centinaio di volte, e te lo dicono con l'aria di chi dice: ma tu lo sapevi?).
Insomma, davvero tutti entusiasti, ed io per primo.
Credo proprio che prenderò a recarmi qualche volta a Milano per seguire qualche altro raduno o lezione di questo straordinario istruttore.
Ovviamente lo inviterò anche l'anno prossimo.
Il mio auspicio è che a questi appuntamenti affluiscano sempre più persone.
Consiglio vivamente anche a chi è molto esperto di frequentare Montenegro, nel caso in cui cerchi Fujimoto, il suo aikido, la sua impressionante didattica, perchè questo insegnante è davvero quello che più vi si avvicina.
Grazie a chi è venuto.
Chi non c'era, mi permetto di dirlo, ha perso l'ennesima buona occasione per una pratica superiore, nella propria città o a pochi chilometri da casa.
Pazienza.
A presto.
Si è trattato di uno stage, a mio giudizio, bellissimo.
L'istruttore è molto più che bravo, e la fedeltà ai principi e alle direttive dell'aikido del Maestro Fujimoto è stata impressionante.
E' perfettamente evidente e addirittura palpabile, nel seguire le movenze e la didattica di Montenegro, la straordinaria mole di informazioni che questo ragazzo di neppure trent'anni è stato in grado di acquisire nel decennio nel quale è stato uke e asssitente di Fujimoto Shihan.
Era quello che speravo che fosse, un interprete eccezionalmente credibile del pensiero aikidoistico del Maestro.
Devo confessarlo, ha per quanto mi riguarda superato ogni mia più rosea e ottimistica previsione.
Quanto al contenuto del raduno, stante la assoluta prevalenza di principianti, le lezioni hanno avuto ad oggetto, soprattutto il primo giorno, le tecniche base che costituiscono il programma di esame di sesto Kyu, eseguite tuttavia con la tipica precisione e scientificità propria del Maestro, e dunque con una attenzione impressionante ad ogni dettaglio e aspetto, dalla corretta postura del corpo alla giusta distanza, dal lavoro di te sabaki alle regole di un buon equilibrio e centralizzazione.
Nel secondo giorno la lezione è stata dedicata anche ai più avanzati, con studio di tecniche da katateryotetori e ushiroryotetori.
Ampie e articolate riflessioni e direttive sono state ovviamente dedicate all'atteggiamento di uke, sul quale chi scrive si prodiga spesso in spiegazioni nel corso delle lezioni, ma che sensei Montenegro sa rendere in maniera particolarmente efficace (te ne accorgi quando gli allievi vengono a dirti di avere compreso qualcosa che tu pensi di avere spiegato loro almeno un centinaio di volte, e te lo dicono con l'aria di chi dice: ma tu lo sapevi?).
Insomma, davvero tutti entusiasti, ed io per primo.
Credo proprio che prenderò a recarmi qualche volta a Milano per seguire qualche altro raduno o lezione di questo straordinario istruttore.
Ovviamente lo inviterò anche l'anno prossimo.
Il mio auspicio è che a questi appuntamenti affluiscano sempre più persone.
Consiglio vivamente anche a chi è molto esperto di frequentare Montenegro, nel caso in cui cerchi Fujimoto, il suo aikido, la sua impressionante didattica, perchè questo insegnante è davvero quello che più vi si avvicina.
Grazie a chi è venuto.
Chi non c'era, mi permetto di dirlo, ha perso l'ennesima buona occasione per una pratica superiore, nella propria città o a pochi chilometri da casa.
Pazienza.
A presto.