L'Aikikai d'Italia

sabato 5 marzo 2011

"Impedire di ferire senza ferire"

E', al contempo, un precetto etico e la sintesi stessa della natura delle tecniche aikidoistiche.
L'aikido, difatti, è un complesso di esercizi all'interno dei quali tecniche marziali di terribile efficacia vengono "inglobate", per così dire, in modo da sterilizzarne la violenza e i rischi di infortuni che deriverebbero altrimenti dalla pratica.
Ove si presti la dovuta attenzione nell'osservare una qualsiasi waza di aikido ci si avvede facilmente che l'esecutore ha due o più spesso numerose occasioni per chiudere la contesa e soggiogare violentemente l'aggressore.
Tuttavia non lo fa, non sfrutta queste possibilità. Sembra quasi che l'intento sia quello di prolungare, nei limiti del ragionevolmente possibile, il contatto con l'altro.
Le ragioni di questo atteggiamento sono tante, ma sono fondamentalmente riducibili a due.
La prima è, appunto, un esigenza etica.
L'aikido, non va dimenticato, fu elaborato da O' Sensei in un contesto culturale, quello giapponese della prima metà del novecento, caratterizzato da pulsioni razziste, militariste, fortemente nazionaliste.
O' Sensei comprese, prima di quella grande catarsi collettiva causata dai bombardamenti atomici, dalla disfatta bellica e dalla resa umiliante, che le arti marziali avevano in sè un germe di violenza che era stato impiegato per diffondere e favorire il delirio di supremazia che aveva condotto il Giappone ad elaborare e tentare di attuare un progetto di soggiogamento dell'intero Estremo Oriente, e i suoi militari a rendersi responsabili di terribili e disonorevoli eccidi (la vergogna del massacro di Nanchino, le schiave prostitute in Thailandia, l'asse con i regimi nazi fascisti europei).
Il Maestro era tuttavia un uomo del budo, amava quel mondo, e riteneva possibile veicolare, attraverso esso, valori contrari alla violenza e al disprezzo per la vita.
Da qui la geniale intuizione della elaborazione delle tecniche aikidosistiche, esercizi appunto nei quali la carica distruttiva della tecnica marziale viene, in qualche modo, sterilizzata.
Nella pratica, allora, ecco che un pugno al volto diventa un semplice gesto di minaccia, uno strangolamento viene trasformato in uno sbilanciamento, un violento calcio viene sublimato in un avanzamento verso uke, e così via, e l'aspirazione è quella di arrivare al risultato di neutralizzare il tentativo di sopraffazione messo in atto dall'aggressore senza cagionare a quello danni permanenti.
L'altra grande esigenza è invece di natura schiettamente pratica.
L'esercizio, difatti, realizzato in tal modo fa sì che sia estremamente difficile procurarsi infortuni, recarsi danno e recarne sbagliando qualcosa.
E' evidente infatti che, se simulo un violento attacco diretto al viso del compagno di allenamento, porto quell'attacco con l'intento di controllarlo un attimo prima che esso giunga a contatto con uke, ebbene è chiaro che è assai probabile che, vuoi perchè io non riesco a fermare in tempo il colpo, vuoi perchè il compagno per errore si fa avanti con il capo, le possibilità di un contatto disatroso si fanno molto maggiori.
Dunque, dovremmo sempre esserne consapevoli, le tecniche di aikido sono, paradossalmente, al contempo "inoffensive" e "pericolosissime".
Potremmo dire, anzi, che l'unico modo per praticare tecniche così potenzialmente distruttive è praticandole nella forma dell'esercizio aikidoistico.
Attraverso esso, però, viene mantenuta inalterata tutta la carica difensiva e offensiva delle tecniche marziali di provenienza, perchè il praticante potrebbe, facilmente, "ritrasformare" l'esercizio di aikido nel waza marziale.
Questo è l'aikido, e a mio giudizio la nostra disciplina ha in sè questa geniale ambiguità morale.
L'aikido difatti non fa una scelta davvero definitiva nel senso della non violenza, anzi in un certo senso addestra alla messa in pratica di tecniche che, appunto ricalibrate sull'esigenza difensiva, mantengono inalterate tutte le attitudini di combattimento delle tecniche marziali di provenienza.
Dunque, "impedire di ferire senza ferire" descrive in ogni senso l'aikido, ne è la summa in tutti i sensi.
Va intesa, però, consapevolmente, senza banalizzazioni.
Odio sentire sciocchezze del tipo "l'aikido è una danza", perchè mi sembra la tipica frase di chi crede di avere compreso ciò che fa, ma in realtà ha etichettato senza aver capito nulla.
L'aikido, allora, la definirei come una disciplina di origine marziale, a fortissima tensione morale ed etica, nella quale l'aspirazione alla non violenza deve realizzarsi attraverso l'acquisizione, da parte dell'esperto aikidosta, di una volontà di non utilizzo di tecniche altrimenti potenzialmente devastanti e distruttive che sarebbe, altrimenti, perfettamete in grado di eseguire.
La scelta della non violenza, in altre parole, ha un valore in un certo senso maggiore, perchè è più preziosa se fatta da chi, ove volesse, quella violenza sarebbe in grado di sprigionare.

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