Si può avere la fortuna, qualche volta nella vita, di incontrare qualcuno che risulta illuminante, e che riesce, in qualche modo, a chiarire ciò che altrimenti era destinato a rimanere oscuro e non ben comprensibile.
E' una esperienza che può verificarsi negli ambiti più disparati, taluni magari molto personali, talatri legati al lavoro, o a qualche altro interesse di vita.
La fortuna di vivere questa esperienza a me è capitata, nella mia pratica aikidoistica, e ad essa devo probabilmente, per non dire certamente, moltissima della mia personalità e del mio modo di affrontare le cose un pò in tutti i momenti del mio agire quotidiano.
Mi riferisco naturalmente al mio incontro con il maestro Fujimoto, con il quale ho intrapreso un cammino aikidoistico completamente nuovo e appunto infinitamente più consapevole.
E' stato, per me, come rinvenire la mia "stele di Rosetta", trovare ciò che ti permette di comprendere quello che era altrimenti dinanzi agli occhi ma di cui non si aveva la chiave per capire il significato.
Cosa voleva dire l'aikido, il perchè del generarsi delle sue tecniche, il senso profondo della sua etica, l'ho finalmente compreso grazie alla sapienza di questo immenso maestro, che era anzitutto un geniale didatta, prima ancora che un magnifico esecutore e ricercatore della disciplina.
Sono assolutamente convinto, l'ho già detto, che probabilmente avrei smesso la pratica aikidoistica ove quell'incontro non ci fosse stato, e, anche questo l'ho detto e lo ribadisco, coloro i quali non l'hanno compreso sono quelli che più spesso tentano di "riempire" la propria esperienza marziale con ogni sorta di diversivo.
Riempire una pratica che risulta a un certo punto noiosa e insoddisfacente con altre discipline, quali, non so, la scrittura, lo iaido, il jodo, o il buddismo tantrico, è un qualcosa che seguendo il Maestro non si sentiva e non si sente il bisogno di fare.
Il suo insegnamento era incredibilmente vario e articolato, magari complesso e di non facile comprensione, ma sempre straordinariamente stimolante e ricco.
Era come dicevo un ricercatore, in qualche modo uno sperimentatore, ma accompagnava sempre la ricerca e la sperimentazione con un rigore ed una attenzione alla non dispersione delle basi e dei fondamenti che impediva voli pindarici ed eccessive licenze poetiche.
Le tecniche, nelle lezioni e negli enbukai, erano perfettamente riconoscibili, eseguite con impressionante creatività e tuttavia ineccepibili in tutti i passaggi e nel loro esplicarsi.
Ci sono altri maestri molto creativi, lo vediamo anche nei video di alcuni shihan, ma le tecniche spesso spariscono, diventano qualcosa di simile ad una melassa di waza i cui singoli momenti divengono indistinguibili.
Il Maestro spesso, sorridendo sarcastico, diceva di fare cose semplici, di non esagerare con lo spettacolo, di non "fare i fenomeni".
Anche di qualche grandissimo maestro diceva che lui può fare certe cose perchè "è un fenomeno".
Forse mi sbaglio, ma penso fosse sano cinismo e ci fosse una certa evidente ironia.
Comunque, con lui ho capito praticamente tutto.
Mi ha dato la chiave per comprendere.
A chi gli chiedeva di parlare del ki, totem spesso frainteso del nostro mondo, sorrideva beffardo e diceva che ne avrebbe parlato da vecchio.
Eppure il suo ki era impressionante, qualunque sia la accezione che di questo concetto vogliamo assumere.
E' andato incontro alla morte con una dignità e coraggio, non mi stancherò mai di ripeterlo, degni del più valoroso dei guerrieri, o semplicemente degli uomini.
Spero di avere, quando dovesse succedere a me, anche solo la metà della sua serenità, attenzione agli altri, e del suo amore per la vita e per il suo ruolo di guida.
Mi manca e ci manca infinitamente, e davvero si può dire che il suo ricordo, ed il suo inarrivabile insegnamento, sono tra noi tutti i giorni e in tutti i momenti in cui facciamo aikido o pensiamo all'aikido.
Mi piacerebbe che venisse ricordato anche per la sua straordinaria carica umana, la sua simpatia ed entusiasmo contagiosi, la sua capacità di dare importanza a chiunque lo seguisse e gli mostrasse un pò di attenzione e passione.
Addio, Maestro Fujimoto.
La mia stele di Rosetta, che porto sempre con me.