Ero ancora molto piccolo, e avevo appena cominciato a praticare, quando lessi questa frase da sempre attribuita al doshu dell'epoca, Kissomaru Ueshiba.
La riportava il Maestro Fujimoto in una bellissima e lunga intervista se non ricordo male concessa a Simone Chierchini.
Nell'intervista, Fujimoto sensei raccontava di come, quando aveva iniziato ad insegnare, tendesse a proporre un aikido più duro, e il suo atteggiamento fosse, rispetto a qualche nuovo arrivato che appariva magari inadatto fisicamente e forse anche mentalmente alla pratica marziale, appunto duro, severo, come di chi vuole mandare via quell'allievo, e scoraggiarlo.
Poi, diceva più o meno nell'intervista, il Doshu ha detto che l'aikido doveva essere per tutti, e il Maestro conveniva sul fatto che anche lui vi si fosse adeguato non tanto o non solo perchè l'aveva detto la Guida, ma perchè era il mondo ad essere cambiato, e gli aikidoisti dovevano prenderne atto.
Le atrti marziali, da sempre, vivono questa sorta di conflitto.
Da un lato, hanno voluto aprirsi al grande pubblico, hanno fatto proselitismo, hanno tentato di diventare popolari e aspirano ad essere praticate da un gran numero di persone.
Dall'altro, ci si rende conto che ad una platea molto ampia fa riscontro una necessaria attenuazione di ciò che rendeva le arti marziali diverse dalle altre attività, soprattutto sportive.
Aprirsi vuol necessariamente dire ridimensionare la severità nell'approccio didattico, la durezza fisica degli allenamenti, la selezione dei soggetti ai quali indirizzare e adeguare la didattica.
Nell'aikido nessuno deve essere lasciato indietro.
Non posso, se devo insegnare a due persone di cui uno è un brillante e promettente giovanotto nel pieno delle sue forze, e l'altro un uomo attempato e sovrappeso, dedicarmi al primo lasciando che l'altro si roda sul tatami nel tentativo di comprendere qualcosa.
Anzi, forse, a me capita, devo dedicare al secondo molta più attenzione, perchè l'aikido è per tutti.
Condivido in pieno questo approccio, e tuttavia ne vedo qualche degenerazione nel momento in cui andiamo ad esaminare.
Sebbene l'aikido sia per tutti, in sostanza, è per tutti anche la progressione nei gradi?
Me lo chiedo, a dire il vero, tutte le volte in cui assisto ad una sessione di esami.
Vedo talvolta qualcuno che è molto grasso, completamente fuori forma, che sostiene un esame anche piuttosto avanzato, e mi chiedo cosa farei io al posto dell'esaminatore.
Mi dico, difatti, che quella persona si è presa la briga di mettere addosso una buffa divisa, ha sottratto del tempo alla famiglia, che magari gliene fa una colpa, si è inginocchiato, ed ha partecipato entusiasta ad un raduno pieno di gente che lo ha sbatacchiato al suolo per ore.
Deve essere promosso, devo essergli grato di tanto.
Poi, allo stesso tempo, mi accorgo che sbaglia anche molti movimenti, gli mancano le basi, e, penso tra me e me, potrebbe mangiare un pò meno, o, se il problema non è quello, potrebbe andare in bicicletta, tanto per dire.
Dunque cosa bisogna fare, promuoverlo o bocciarlo?
Me la sentirei di dirgli che non va bene, e che sarebbe più opportuno che tornasse l'anno prossimo, preparandosi meglio dal punto di vista atletico e tecnico?
La risposta, a dire il vero, non ce l'ho.
Se è vero che tutti abbiamo il diritto di fare aikido, non è altrettanto vero che abbiamo il diritto a conseguire gradi superiori, che non rispecchiano il nostro livello.
Tuttavia, mi rendo conto che la bocciatura verrebbe probabilmente vissuta in modo umiliante, forse accettata con stile ma lasciando una forte delusione, portando all'abbandono dello studente.
Direi che, quanto meno, si possono fissare dei paletti.
Si potrebbe stabilire, ad esempio, che si sia più duri con chi ha responsabilità di dojo, o comunque insegna o aspira a farlo.
Si potrebbe forse responsabilizzare gli insegnanti dai quali quegli esaminati sono guidati, dicendo loro che spetta ad essi non firmare domande di esame di persone che non sono pronte, e magari hanno bisogno di un pò più tempo per studiare meglio.
Si potrebbe e dovrebbe ricordare, a chi decide di avvicinarsi all'aikido, che nella nostra disciplina non devono esistere gli scatti di anzianità. e che, quando non si progredisce più, quale che ne sia la ragione, potrebbe doversi accettare che non si conseguano gradi ulteriori.
Che l'esame non serve all'insegnante, ma a chi lo sostiene, come confronto con se stessi, misura del proprio progredire.
Detto questo, io non so bene che farò, quando dovesse capitarmi un dilemma del genere.
Promuovere qualcuno che penso non sia pronto, con il rischio di litigare con il suo insegnante, perdere un allievo, o non essere mai invitato a presiedere una sessione di esami, o bocciarlo, cercando di fargli capire che ho il dovere di valorizzare chi è più bravo, perchè l'aikido non si svilisca, e tuttavia ferendolo?
Ancora non ho deciso, e per fortuna nessuno mi invita a fare esami ai suoi allievi.
Per quanto mi riguarda, cercherò di trasmettere ai miei allievi l'idea che devono dare il massimo.
Chi è fisicamente debole, deve quanto meno essere tecnicamente "impeccabile".
Chi ha buona forma, non lesini sudore e fatica.
Cercando, naturalmente, di dare il buon esempio.
Buone vacanze a tutti.