Arriva la conferma di quello che è oramai un appuntamento tradizionale della nostra piccola associazione e dell'aikido foggiano in generale.
Anche questo novembre si terrà lo stage con Domenico Casale, V dan dell'aikikai d'Italia, responsabile del Waka Ki Dojo di Bari.
Mi reco, l'ho già scritto, settimanalmente ad allenarmi in quella struttura, e mi considero un appartenente a quel dojo e non solo un ospite sia pure assiduo.
In quasi tre anni di lavoro con loro, posso ritenermi sicuro di avere compiuto significativi progressi e di avere conseguito nuovi traguardi nella mia crescita aikidoistica, e, lo ripeto, ho potuto affrontare e superare senza particolari problemi un momento impegnativo come l'esame di sandan con il Maestro Fujimoto in gran parte grazie a questa esperienza.
Dunque consiglio a chiunque legga di seguirmi e venire a provare, si tratta di allenamenti intensi e al contempo gioiosi, che sono certo piaceranno a chiunque abbia davvero voglia di imparare e progredire.
Mimmo lo conoscevo da sempre, perchè quando io ho iniziato, nel lontano 1990, lui era uno dei "giovani leoni", la definizione è mia, che vedevo fare da uke ai Maestri giapponesi e che ammiravo intensamente.
Hanno rappresentato, a mio giudizio, una generazione che ha permesso all'aikido italiano (ma lo stesso immagino sia successo anche in altre nazioni europee) di fare un significativo salto di qualità, superando la fase pionieristica (inevitabilmente più grossolana e meno raffinata tecnicamente) per approare ad una più evoluta e apprezzabile.
Lo ritrovai, poi, qualche anno fa, mi sembra fosse il 2008, durante uno stage "panbarese" con tutti gli istruttori del capoluogo, tra i quali appunto vi era Mimmo.
Ebbene, le sue lezioni, a mio avviso, furono decisamente le migliori, e ne rimasi profondamente impressionato.
Inoltre, mi colpì il suo atteggiamento, umile e al contempo sicuro, quel parlare poco e mai a sproposito.
Mentre negli altri due c'era una evidente tentazione di "lasciare il segno", stupire la platea e rendere spettacolare la loro lezione, Mimmo sembrava completamente intento a insegnare e praticare, senza alcuna deriva narcisistica.
E' rimasto così, con tutta quella carica di energia e voglia di migliorarsi.
Dunque, mi raccomando, accorrete a quest'evento, c'è da imparare e da divertirsi tanto.
Vi aspetto, alla palestra Taralli, sabato 12 e domenica 13 novembre.
La locandina la inseriremo a giorni sulla sezione Raduni del portale dell'aikikai d'Italia.
A presto.
L'Aikikai d'Italia
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sabato 29 ottobre 2011
venerdì 14 ottobre 2011
Gli "stili" aikidoistici
L'aikido è, a mio giudizio senza alcun dubbio, una delle discipline nelle quali la applicazione delle tecniche lascia i maggiori margini di creatività all'esecutore.
Si tratta di un aspetto che ritengo bellissimo e che rende sotto molti aspetti unica la disciplina.
E tuttavia, si corre il rischio di cadere in una sorta di relativismo estremo, ossia in una filosofia del "va bene tutto" che rende difficile distinguere cosa è giusto da cosa è sbagliato, la personale visione di una tecnica pure corretta da quella che è semplicemente una cattiva esecuzione.
Come regolarsi, dunque, e discernere la personalità nella interpretazione dal vero e proprio errore?
La mia opinione è che questo possa avvenire se si ha ben presente quali sono i cardini marziali della tecnica aikidoistica, in altre parole se si riesce ad avere chiare le attitudini di combattimento e difesa dalle quali il waza non può prescindere se non al prezzo di decadere al rango di semplice esercizio ginnico o coreografico.
Diceva molto giustamente un grandissimo maestro, Gozo Shioda, che "accade a tutti di pensare: come eseguire questa tecnica? Come eseguire quella tecnica?; ma ciò che bisogna ricordare è che sebbene vi siano molte tecniche, dovete afferrare i principi alla base di esse. Ne deriva che dovete rapidamente spostare il vostro equilibrio, muovendo mani, piedi e fianchi come una cosa sola. Il principio che permea tutte le tecniche è il medesimo, ad esempio la stabilità del corpo, lo spostamento dell'equilibrio, il guidare l'energia, e così via. Una volta afferrati completamente questi principi, sarà naturale per voi perdere interesse per i dettagli particolari delle singole tenciche. Ciò vuol dire che, invece di pensare: farò questo, farò quello, arriverete ad un livello in cui, avendo afferrato i principi, sarà il vostro corpo a muoversi da solo secondo tali principi".
Dunque possiamo dire che esistano appunto alcuni principi di base, e che una tecnica è corretta quando, pure nella diversità dei modi di interpretarla, rispetta e soddisfa questi canoni di riferimento.
Per esempio, di fronte all'attacco, è certamente sbagliato non deviare la linea di esso, e non porsi alle spalle dell'aggressore.
Come farlo, naturalmente, è qualcosa che può ricevere molte soluzioni.
Ad esempio, qualcuno potrebbe agire sul corpo di uke, mettendolo in leva e provocandone lo spostamento, mentre altri possono scegliere di spostare il loro corpo mandando uke a vuoto.
Tuttavia, una tecnica che venisse eseguita senza porsi nel "punto morto" (shikaku) dell'avversario sarebbe certamente sbagliata, appunto perchè avrebbe smarrito la sua attitudine marziale.
Gli esempi potrebbero essere molti altri.
Così, ancora, occorre generalmente fare in modo che il corpo sia sempre ben bilanciato, e dunque tentare di assicurarsi sempre un perfetto equilibrio facendo sì che allo spostamento di un braccio faccia riscontro un correlativo spostamento del piede in modo da non perdere il baricentro giusto.
Occorre, inoltre, evitare di aprire le ascelle, perchè altrimenti finiremmo per indebolire la nostra capacità di urto e di resistenza alle spinte e controspinte di uke.
Voglio dire, in conclusione, che non tutto è consentito, e che la libertà dei modi di esprimersi non va confusa con una sorta di licenza poetica in forza della quale ognuno fa come più gli aggrada.
Nell'aikido, per scelta del Fondatore alla quale noi tutti abbiamo aderito, non si combatte, e pertanto la verifica della corretta esecuzione non passa per il confronto in un duello.
E' indispensabile, allora, una forte autodisciplina, e volontà di non discostarsi dai principi marziali di base di cui parlava il maestro Shioda.
E' altresì necessario, per gli insegnanti, studiare sempre e bene, avere una profonda comprensione delle dinamiche che la tecnica va a ricreare, non stancarsi mai di limare e perfezionare la propria esecuzione, perchè è questa la condizione imprescindibile affinchè si possano afferrare le linee guida e trasmettere un sapere davvero maturo e reale, che divenga patrimonio comune del dojo e possa sopravvivere al tempo e alla inevitabile "temporaneità" della nostra presenza.
Gli insegnanti valorosi non solo quelli che eseguono complicatissime tecniche artificiose e spettacolari, o cianciano di energie cosmiche e illuminazioni, ma quelli che posseggono e trasmettono correttamente i principi e le tecniche di base attraverso un serio e quotidiano lavoro di autoperfezionamento.
Si tratta di un aspetto che ritengo bellissimo e che rende sotto molti aspetti unica la disciplina.
E tuttavia, si corre il rischio di cadere in una sorta di relativismo estremo, ossia in una filosofia del "va bene tutto" che rende difficile distinguere cosa è giusto da cosa è sbagliato, la personale visione di una tecnica pure corretta da quella che è semplicemente una cattiva esecuzione.
Come regolarsi, dunque, e discernere la personalità nella interpretazione dal vero e proprio errore?
La mia opinione è che questo possa avvenire se si ha ben presente quali sono i cardini marziali della tecnica aikidoistica, in altre parole se si riesce ad avere chiare le attitudini di combattimento e difesa dalle quali il waza non può prescindere se non al prezzo di decadere al rango di semplice esercizio ginnico o coreografico.
Diceva molto giustamente un grandissimo maestro, Gozo Shioda, che "accade a tutti di pensare: come eseguire questa tecnica? Come eseguire quella tecnica?; ma ciò che bisogna ricordare è che sebbene vi siano molte tecniche, dovete afferrare i principi alla base di esse. Ne deriva che dovete rapidamente spostare il vostro equilibrio, muovendo mani, piedi e fianchi come una cosa sola. Il principio che permea tutte le tecniche è il medesimo, ad esempio la stabilità del corpo, lo spostamento dell'equilibrio, il guidare l'energia, e così via. Una volta afferrati completamente questi principi, sarà naturale per voi perdere interesse per i dettagli particolari delle singole tenciche. Ciò vuol dire che, invece di pensare: farò questo, farò quello, arriverete ad un livello in cui, avendo afferrato i principi, sarà il vostro corpo a muoversi da solo secondo tali principi".
Dunque possiamo dire che esistano appunto alcuni principi di base, e che una tecnica è corretta quando, pure nella diversità dei modi di interpretarla, rispetta e soddisfa questi canoni di riferimento.
Per esempio, di fronte all'attacco, è certamente sbagliato non deviare la linea di esso, e non porsi alle spalle dell'aggressore.
Come farlo, naturalmente, è qualcosa che può ricevere molte soluzioni.
Ad esempio, qualcuno potrebbe agire sul corpo di uke, mettendolo in leva e provocandone lo spostamento, mentre altri possono scegliere di spostare il loro corpo mandando uke a vuoto.
Tuttavia, una tecnica che venisse eseguita senza porsi nel "punto morto" (shikaku) dell'avversario sarebbe certamente sbagliata, appunto perchè avrebbe smarrito la sua attitudine marziale.
Gli esempi potrebbero essere molti altri.
Così, ancora, occorre generalmente fare in modo che il corpo sia sempre ben bilanciato, e dunque tentare di assicurarsi sempre un perfetto equilibrio facendo sì che allo spostamento di un braccio faccia riscontro un correlativo spostamento del piede in modo da non perdere il baricentro giusto.
Occorre, inoltre, evitare di aprire le ascelle, perchè altrimenti finiremmo per indebolire la nostra capacità di urto e di resistenza alle spinte e controspinte di uke.
Voglio dire, in conclusione, che non tutto è consentito, e che la libertà dei modi di esprimersi non va confusa con una sorta di licenza poetica in forza della quale ognuno fa come più gli aggrada.
Nell'aikido, per scelta del Fondatore alla quale noi tutti abbiamo aderito, non si combatte, e pertanto la verifica della corretta esecuzione non passa per il confronto in un duello.
E' indispensabile, allora, una forte autodisciplina, e volontà di non discostarsi dai principi marziali di base di cui parlava il maestro Shioda.
E' altresì necessario, per gli insegnanti, studiare sempre e bene, avere una profonda comprensione delle dinamiche che la tecnica va a ricreare, non stancarsi mai di limare e perfezionare la propria esecuzione, perchè è questa la condizione imprescindibile affinchè si possano afferrare le linee guida e trasmettere un sapere davvero maturo e reale, che divenga patrimonio comune del dojo e possa sopravvivere al tempo e alla inevitabile "temporaneità" della nostra presenza.
Gli insegnanti valorosi non solo quelli che eseguono complicatissime tecniche artificiose e spettacolari, o cianciano di energie cosmiche e illuminazioni, ma quelli che posseggono e trasmettono correttamente i principi e le tecniche di base attraverso un serio e quotidiano lavoro di autoperfezionamento.
sabato 1 ottobre 2011
Lo studio delle armi nell'aikido
La pratica aikidoistica prevede lo studio, oltre che delle tecniche a mani nude, di tre tipi di armi, tutte riconducibili all'equipaggiamento e al bagaglio di conoscenze del guerriero feudale giapponese, il c.d. samurai o, in un certo senso più appropriatamente, del c.d bushi.
Le armi in questione sono la spada, il bastone e la daga.
La spada che si utilizza è denominata "bokken" o più raramente "bokuto", e vuo dire, letteralmente, spada (ken) di legno (bo).
Si tratta di un attrezzo che riproduce, per quanto non del tutto fedelmente, la forma, le dimensioni ed il peso della katana, la tipica spada del bushi, simile alla sciabola europea, con il filo da un lato solo della lama e nella parte superiore, e di lunghezza approssimativamente vicina al metro.
Il jo è un bastone "corto", di lunghezza generalmente pari a circa 1,20 m.
Si dice che è corto nel senso che è "più corto" del bastone normalmente usato nel kobudo giapponese (ma a dire il vero si trova anche nel wushu cinese e nel c.d. kobudo di Okinawa) e chiamato in giapponese Bo.
E', il jo, un'arma che è al contempo uno strumento per l'allenamento alle tecniche della lancia e dell'alabarda (yari e naginata, come appunto il bokken lo è per lo studio delle tecniche della katana), delle quali è tuttavia sensibilmente più corto, ma anche un'arma "originaria", il cui utilizzo era assai diffuso stante la sua facile "portabilità" (è noto difatti che il porto delle spade era consentito soltanto ai bushi, ed era precluso ad altre categorie sociali), e perchè assecondava esigenze etiche di chi voleva sì difendersi ma senza uccidere.
Il tanto, infine, è uno strumento in legno costruito per riprodurre le forme della corrispondente arma che i bushi portavano anche per combattere, ma anche per uccidersi con il suicidio rituale (il noto "seppuku" o meno nobilmente "harakiri", ossia taglio del ventre).
Perchè si studiano le armi nell'aikido, posto che l'aikido, nelle intenzioni del Fondatore, era disciplina della non violenza e dell'amore universale?
O sensei una riposta non l'ha mai propriamente fornita, ma è noto che in un primo momento avesse espunto lo studio delle armi che ha poi progressivamente recuperato.
Ebbene questo studio è necessario anzitutto perchè l'aikido è disciplina modernissima ma al contempo estremamente tradizionale, cosicchè parrebbe incompleto un recupero della tradizione marziale giapponese che si privasse in blocco di quella che ne è stata la parte fondamentale, ossia le armi del bushi (ricordiamo difatti che le tecniche a mani nude sono un fenomeno relativamente recente, sviluppatosi autonomamente soltanto con la modernizzazione del giappone avvenuta verso la fine del diciannovesimo secolo e la proibizione al porto delle armi anche per i samurai; ancora adesso, infatti, molte tecniche di aikido partono dal presupposto che chi attacca intenda impedire a che si difende di impugnare la spada o il coltello).
In secondo luogo, perchè gran parte dei waza di aikido derivano pesantemente dai concetti sviluppati dalle tecniche armate, cosicchè sarebbe difficile penetrare le tecniche aikidoistiche se non si capisce quali sono quelle dalle quali esse derivano (basti pensare che quasi tutti gli attacchi dell'aikido sono attacchi di spada, e che la tipica "guardia" dell'aikido, il c.d. hanmi, letteralmente"metà corpo", è la guardia del lanciere).
Infine, perchè nell'aikido le armi sono usate comunque in maniera "inoffensiva", nel senso che sono espunte le tecniche definitive, pericolose e mortali.
Se si osserva difatti una combinazione di aikiken (ossia, traducendo molto ma molto liberamente, "la spada come si usa nell'aikido") ci si avvede facilmente che il colpo non viene portato a termine, essendo l'intento dei praticanti soltanto quello di sperimentare la tecnica di arma per meglio comprendere quella aikidoistica.
Non vedrete mai, in altre parole, l'aikidoka anticipare il compagno per piazzargli un taglio mortale all'addome, come invece fa lo spadaccino.
Lo stesso si può osservare nei kata, anche di coppia (i c.d. kumitachi o kumijo), nei quali normalmente la chiusura dell'esercizio è con una tecnica dissuasiva e non mortale (del tipo "non muoverti o ti faccio secco").
Anche difendendosi dal coltello (è piuttosto lungo e impressionante) l'aikidoka generalmente si muove per disarmare e impossessarsi dell'arma, mai per uccidere l'aggressore, in ciò differenziandosi notevolmente da una corrispondente tecnica di ju jitsu, che si chiude normalmente con la simbolica eliminazione, di solito per sgozzamento, di uke.
Dunque, non c'è nessuna incoerenza nell'uso delle armi nell'aikido rispetto al messaggio che lo connota.
A mio giudizio, le tecniche di arma sono molto importanti, anche in un'ottica difensiva, perchè sviluppano molto bene la profindità dell'attacco dell'aggressore, la necessità di porsi nella sua linea morta (c.d. shikaku, il punto in cui noi possiamo attaccarlo e lui non può farlo), la doverosità di un atteggiamento concentrato e serio nella pratica (quando arriva l'attacco di arma distrarsi è una pessima idea, a differenza delle mani nude nelle quali qualche volta questo accade e senza serie conseguenze).
Inoltre, studiare le armi è davvero un tuffo nel Giappone feudale, e nel suo straordinario mondo di conoscenze marziali, una specie di luogo ideale per chi non ci si sia trovato a vivere (starci dentro era probabimente molto meno entusiasmante, con la sua enorme violenza e prevaricazione), ma che è bellissimo rivivere in maniera incruenta, tornando forse anche un pò ragazzini, come in un certo senso siamo un pò tutti noi praticanti.
E', infine, l'ennesima conferma dello straordinaro messaggio dell'aikido, una disciplina che attraverso il budo, ossia le tecniche guerriere, si fa veicolo di concetti di non violenza e rispetto universale, anche ... con una spada in mano.
Bellissimo, non credete?
Le armi in questione sono la spada, il bastone e la daga.
La spada che si utilizza è denominata "bokken" o più raramente "bokuto", e vuo dire, letteralmente, spada (ken) di legno (bo).
Si tratta di un attrezzo che riproduce, per quanto non del tutto fedelmente, la forma, le dimensioni ed il peso della katana, la tipica spada del bushi, simile alla sciabola europea, con il filo da un lato solo della lama e nella parte superiore, e di lunghezza approssimativamente vicina al metro.
Il jo è un bastone "corto", di lunghezza generalmente pari a circa 1,20 m.
Si dice che è corto nel senso che è "più corto" del bastone normalmente usato nel kobudo giapponese (ma a dire il vero si trova anche nel wushu cinese e nel c.d. kobudo di Okinawa) e chiamato in giapponese Bo.
E', il jo, un'arma che è al contempo uno strumento per l'allenamento alle tecniche della lancia e dell'alabarda (yari e naginata, come appunto il bokken lo è per lo studio delle tecniche della katana), delle quali è tuttavia sensibilmente più corto, ma anche un'arma "originaria", il cui utilizzo era assai diffuso stante la sua facile "portabilità" (è noto difatti che il porto delle spade era consentito soltanto ai bushi, ed era precluso ad altre categorie sociali), e perchè assecondava esigenze etiche di chi voleva sì difendersi ma senza uccidere.
Il tanto, infine, è uno strumento in legno costruito per riprodurre le forme della corrispondente arma che i bushi portavano anche per combattere, ma anche per uccidersi con il suicidio rituale (il noto "seppuku" o meno nobilmente "harakiri", ossia taglio del ventre).
Perchè si studiano le armi nell'aikido, posto che l'aikido, nelle intenzioni del Fondatore, era disciplina della non violenza e dell'amore universale?
O sensei una riposta non l'ha mai propriamente fornita, ma è noto che in un primo momento avesse espunto lo studio delle armi che ha poi progressivamente recuperato.
Ebbene questo studio è necessario anzitutto perchè l'aikido è disciplina modernissima ma al contempo estremamente tradizionale, cosicchè parrebbe incompleto un recupero della tradizione marziale giapponese che si privasse in blocco di quella che ne è stata la parte fondamentale, ossia le armi del bushi (ricordiamo difatti che le tecniche a mani nude sono un fenomeno relativamente recente, sviluppatosi autonomamente soltanto con la modernizzazione del giappone avvenuta verso la fine del diciannovesimo secolo e la proibizione al porto delle armi anche per i samurai; ancora adesso, infatti, molte tecniche di aikido partono dal presupposto che chi attacca intenda impedire a che si difende di impugnare la spada o il coltello).
In secondo luogo, perchè gran parte dei waza di aikido derivano pesantemente dai concetti sviluppati dalle tecniche armate, cosicchè sarebbe difficile penetrare le tecniche aikidoistiche se non si capisce quali sono quelle dalle quali esse derivano (basti pensare che quasi tutti gli attacchi dell'aikido sono attacchi di spada, e che la tipica "guardia" dell'aikido, il c.d. hanmi, letteralmente"metà corpo", è la guardia del lanciere).
Infine, perchè nell'aikido le armi sono usate comunque in maniera "inoffensiva", nel senso che sono espunte le tecniche definitive, pericolose e mortali.
Se si osserva difatti una combinazione di aikiken (ossia, traducendo molto ma molto liberamente, "la spada come si usa nell'aikido") ci si avvede facilmente che il colpo non viene portato a termine, essendo l'intento dei praticanti soltanto quello di sperimentare la tecnica di arma per meglio comprendere quella aikidoistica.
Non vedrete mai, in altre parole, l'aikidoka anticipare il compagno per piazzargli un taglio mortale all'addome, come invece fa lo spadaccino.
Lo stesso si può osservare nei kata, anche di coppia (i c.d. kumitachi o kumijo), nei quali normalmente la chiusura dell'esercizio è con una tecnica dissuasiva e non mortale (del tipo "non muoverti o ti faccio secco").
Anche difendendosi dal coltello (è piuttosto lungo e impressionante) l'aikidoka generalmente si muove per disarmare e impossessarsi dell'arma, mai per uccidere l'aggressore, in ciò differenziandosi notevolmente da una corrispondente tecnica di ju jitsu, che si chiude normalmente con la simbolica eliminazione, di solito per sgozzamento, di uke.
Dunque, non c'è nessuna incoerenza nell'uso delle armi nell'aikido rispetto al messaggio che lo connota.
A mio giudizio, le tecniche di arma sono molto importanti, anche in un'ottica difensiva, perchè sviluppano molto bene la profindità dell'attacco dell'aggressore, la necessità di porsi nella sua linea morta (c.d. shikaku, il punto in cui noi possiamo attaccarlo e lui non può farlo), la doverosità di un atteggiamento concentrato e serio nella pratica (quando arriva l'attacco di arma distrarsi è una pessima idea, a differenza delle mani nude nelle quali qualche volta questo accade e senza serie conseguenze).
Inoltre, studiare le armi è davvero un tuffo nel Giappone feudale, e nel suo straordinario mondo di conoscenze marziali, una specie di luogo ideale per chi non ci si sia trovato a vivere (starci dentro era probabimente molto meno entusiasmante, con la sua enorme violenza e prevaricazione), ma che è bellissimo rivivere in maniera incruenta, tornando forse anche un pò ragazzini, come in un certo senso siamo un pò tutti noi praticanti.
E', infine, l'ennesima conferma dello straordinaro messaggio dell'aikido, una disciplina che attraverso il budo, ossia le tecniche guerriere, si fa veicolo di concetti di non violenza e rispetto universale, anche ... con una spada in mano.
Bellissimo, non credete?